Il verdetto
Aggredisce la ex con l’acido ma non la deturpa. Il giudice premia il risciacquo: non è tentato sfregio se ci si può lavare in tempo
La sentenza del magistrato esclude una pena più severa per l'uomo che ha aggredito la ex compagna perché il liquido utilizzato non era poi così immediatamente corrosivo e perché la vittima si è potuta sciacquare tempestivamente...
Non è bastato svuotare due flaconi di acido muriatico addosso alla ex all’interno del suo salone da parrucchiera per meritarsi una condanna che sottolineasse la gravità del tentativo di sfregio della donna: per un giudice del tribunale di Verbania, infatti, l’aggressione non non può connotarsi come il reato di tentata deformazione permanente. Così come terrorizzarla e perseguitarla indirizzandole a più riprese frasi come «quegli occhi potrebbero non vedere più», o «l’acido brucia bene», o intimidazioni del calibro, «d’ora in poi guardati le spalle! E se vai dai carabinieri per te è finita» non sono sembrate sufficienti per far meritare all’uomo una condanna per stalking. E ora, l’esito processuale di questo caso rischia di far equivocare mal intenzionati e opinione pubblica sull’opinabilità giuridica in merito al contrasto alla violenza di genere.
Cerca di sfregiare la ex con l’acido, ma il risciacquo tempestivo e la sentenza del giudice lo salvano dalla condanna più severa
Una sentenza che suona come una beffa non solo per la donna che ha subito il terrore delle minacce, prima, e il brutale sfregio, poi. Ma per tutte le vittime di stalking e violenza. Il Tribunale di Verbania ha di fatto ridimensionato l’aggressione a tentate lesioni gravissime, trasformando l’orrore premeditato—con tanto di minacce esplicite, come anticipato —in una mera questione di chimica e tempistiche di soccorso.
Anche le minacce reiterate non valgono una condanna per stalking
Il tentativo di deturpare il viso della ex compagna con l’acido, avvenuto all’interno del negozio della donna, per il giudice che ha esaminato il caso non costituisce «tentata deformazione permanente». La motivazione? Secondo il magistrato, l’acido muriatico al 6,5% usato dall’aggressore era «inidoneo» a provocare il danno irreparabile, poiché la vittima si trovava in un locale dove era possibile «risciacquare immediatamente la cute colpita senza attendere i circa quindici minuti necessari per la cristallizzazione della lesione». Perché, come riporta anche il Tgcom24, è questo quanto si legge nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 12 novembre a Verbania, con condanna a tre anni per l’uomo che il 28 dicembre dello scorso anno aggredì la ex.
Le motivazioni della sentenza: l’acido utilizzato era “inidoneo” a provocare “in concreto” il danno
Ossia, l’atto di versare un liquido corrosivo sul volto – simbolo massimo dell’odio e della volontà di distruggere l’identità – viene valutato in base alla concentrazione del liquido, anziché all’intento criminale e alla gravità del gesto. Anzi, come scrive il gup, la donna «sebbene attinta dal liquido sui capelli, sul collo e sul viso, anche grazie all’immediato abbondante risciacquo (…) non ha riportato danni cicatriziali o profondi sull’epidermide». Una considerazione che, secondo il giudice, «porta a un diverso inquadramento giuridico» del fatto, collocando l’accaduto «al di fuori dei confini» del reato di tentata deformazione dell’aspetto. Benché «in nulla si indulga rispetto alla gravità della condotta delittuosa» dell’uomo.
E poi nel locale era possibile risciacquare subito la cute…
Dunque, l’imputato – un 64enne attualmente ai domiciliari – si è visto comminare una condanna a tre anni (la stessa pena richiesta dal pubblico ministero peraltro), ma con la riqualificazione dei capi d’imputazione: il gup aveva infatti riconosciuto le tentate lesioni gravissime, anziché la tentata deformazione dell’aspetto, così come le minacce, anziché lo stalking.
Il commento polemico del difensore della vittima
Una risoluzione che il difensore della vittima ha accolto polemicamente, evidenziando come la condanna a soli tre anni sia “non particolarmente severa” e come la riqualificazione del reato abbia sminuito la portata della violenza. «La pena non mi sembra particolarmente severa, come a mio avviso dovrebbe essere in contesti di violenza di genere», ha tuonato non a caso il legale, secondo il quale, peraltro, «nella stragrande maggioranza dei casi chi aggredisce ha bisogno di tempo per riflettere su quanto ha fatto. E ha bisogno di tempo non solo per espiare, ma per capire e imboccare la strada della rieducazione».
E alla fine la sentenza del giudice solleva dubbi e timori
Un verdetto, insomma, che sembra premiare più efficienza e tempestività della reazione della persona offesa (e il potenziale del risciacquo), piuttosto che punire la ferocia dell’aggressore. Lasciando peraltro in sospeso un’ombra inquietante sull’attuale pericolosità sociale dell’uomo autore della violenza…