La crisi in Sudamerica
Venezuela-Stati Uniti, la tensione cresce: Washington alza la pressione mentre Maduro si affida ai suoi alleati autoritari
La crisi tra Caracas e Washington si è intensificata negli ultimi giorni, con gli Stati Uniti che rafforzano la loro presenza militare nel Mar dei Caraibi e il regime di Nicolás Maduro che tenta di mostrarsi saldo, pur trovandosi sempre più isolato nella regione.
La portaerei USS Gerald R. Ford guida ora un dispositivo navale che Washington presenta come parte delle operazioni contro il narcotraffico. Ma il significato politico è evidente: gli Stati Uniti vogliono colpire il cuore del potere chavista, collegato -secondo la loro intelligence- a reti criminali interne allo Stato.
In questo quadro si inserisce la decisione americana di voler designare come organizzazione terroristica straniera il “Cartel de los Soles”, una rete criminale nata negli anni ’90 tra ufficiali dell’esercito venezuelano, accusata di gestire traffici di droga verso Nord America ed Europa. Secondo Washington, negli ultimi anni la struttura si sarebbe fusa con i vertici politici del regime, diventando uno dei suoi principali strumenti di finanziamento.
Gli alleati del regime: un asse che va da Mosca a Teheran
Nonostante il crescente isolamento occidentale, Maduro continua a contare su tre partner strategici: Russia, Iran e Cina.
Mosca sostiene da anni il regime con forniture militari, tra cui sistemi antiaerei S-300 e addestramento per le forze speciali venezuelane. Negli ultimi mesi, i media russi hanno anche parlato di “cooperazione tecnica aggiuntiva” per la modernizzazione dell’aviazione venezuelana.
Teheran, dal canto suo, ha rafforzato la presenza economica e militare a Caracas: droni di fabbricazione iraniana sono stati impiegati in esercitazioni venezuelane del 2024, mentre compagnie iraniane gestiscono segmenti strategici del settore energetico locale.
La Cina, pur più cauta, rimane essenziale per il regime: Pechino ha fornito tecnologie di sorveglianza e sistemi di controllo sociale simili a quelli impiegati nello Xinjiang, oltre a prestiti miliardari negli anni precedenti, molti dei quali non sono mai stati ripagati.
Questi legami internazionali non bastano però a compensare il deterioramento interno. Le forze armate venezuelane soffrono da anni problemi logistici e mancanza di manutenzione, rendendo molte delle manovre militari annunciate da Maduro più teatrali che operative. La popolazione, intanto, vive tra la paura di una nuova escalation e una crescente insofferenza verso un regime considerato responsabile del collasso del Paese.
Sul piano diplomatico, Caracas ha denunciato gli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma la mossa appare più simbolica che efficace: la comunità internazionale vede ormai il Venezuela come un attore destabilizzante nella regione.
L’Europa, inclusa l’Italia, mantiene una linea critica. Bruxelles ha infatti prorogato le sanzioni contro funzionari venezuelani, sottolineando le violazioni democratiche e i legami del regime con reti criminali e potenze ostili all’Occidente.
Resta da vedere fino a che punto gli Stati Uniti siano disposti ad aumentare la pressione. Un intervento diretto appare improbabile, ma la linea di Washington è chiara: isolamento diplomatico, operazioni mirate contro reti criminali e una presenza militare sufficiente a dissuadere qualsiasi provocazione.
La crisi venezuelana entra così in una fase nuova, in cui Maduro conta sempre di più sui suoi alleati autoritari e sempre meno sulla forza reale del proprio Stato.