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Schlein insegue Ranucci sul Garante della Privacy e fa autogol. Meloni: «Eletto da Pd e M5S, forse potevano scegliere meglio»
Dopo l'ennesima puntata di Report all'attacco dell'Autorità, la sinistra con i dem in testa torna a chiedere le dimissioni dell'intero collegio. La premier fornisce un promemoria: «Se non si fidano di chi hanno messo non se la prendono con me»
Sigfrido Ranucci attacca, la sinistra – Pd in testa – rilancia, ma alla fine a schiacciare è Giorgia Meloni. Ieri sera Report ha mandato in onda l’ennesimo servizio contro il Garante della Privacy, da quando l’Autorità ha avuto “l’ardire” di sanzionare la trasmissione per la divulgazione della telefonata tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. E, puntuali, da sinistra sono ricominciate le richieste di dimissioni dell’intero collegio, le accuse di mancanza di terzietà, le richieste di chiarimento «urgente» al governo. Senonché, come ricordato dalla premier, a eleggere il Garante in carica è stato il governo giallo-rosso e, dunque, dire che «sia pressato dal governo di centrodestra mi sembra ridicolo».
Il promemoria di Meloni sul Garante della Privacy: «Eletto da Pd e M5S»
Meloni, rispondendo alle domande dei giornalisti sul tema, ha ricordato innanzitutto che «spetta al collegio decidere, come sapete l’azzeramento non è di nostra competenza, è una decisione che spetta a loro». «Però – ha aggiunto – una cosa la voglio dire: questo Garante è stato eletto durante il governo giallorosso, in quota Pd e Cinque Stelle. Dire che sia pressato dal governo di centrodestra mi sembra ridicolo».
L’affondo: «Forse potevano scegliere meglio»
«Se Cinque Stelle e Pd non si fidano di chi hanno messo alla guida dell’Autorithy sulla privacy non se la prendono con me. Forse potevano scegliere meglio», ha aggiunto la premier, aprendo comunque sulla possibilità di cambiare la legge sulla designazione del collegio. «Sulla legge da cambiare possiamo discutere. Se volete rifacciamo la legge, ma – ha ricordato Meloni – non l’ho fatta io manco quella».
L’autogol di Schlein
Un promemoria per Elly Schlein & co, che si sono lanciati a capofitto su quello che devono aver considerato un assist lanciato da Ranucci, evidentemente senza valutarne fino in fondo le implicazioni. Per la segretaria dem, infatti, dai servizi di Report starebbe «emergendo un quadro grave e desolante sulle modalità di gestione dell’Autorità Garante per la Privacy che rende necessario un segnale forte di discontinuità». «Io penso che non ci sia alternativa alle dimissioni dell’intero consiglio», ha detto, sostenendo che Report avrebbe «rivelato un sistema gestionale opaco, caratterizzato da numerosi conflitti di interesse e da una forte permeabilità alla politica». È stato poi il capogruppo Pd al Senato, Francesco Boccia, a chiedere che «il governo venga immediatamente in aula a chiarire». Insomma, l’ennesimo autogol alla ricerca del “colpaccio”.
