La verità fa male
Le bufale della sinistra (e di Massimo Cacciari) sulla povertà in aumento sono smentite dai fatti…
Anche il filosofo veneto si unisce al coro di quanti falsificano i dati reali dell'economia del nostro Paese che cresce nei ceti medio bassi
A proposito di sparare balle, lasciando ai filosofi il linguaggio più colorito, dato che il professor Cacciari, in un suo intervento alla trasmissione Accordi e Disaccordi, fa riferimento ai dati Istat sulla povertà per dare addosso alla Meloni, corre l’obbligo di informarlo su quello che effettivamente dicono questi dati. Perché, proprio l’Istat, in una nota di metà ottobre, afferma che, nel 2024, sono sostanzialmente stabili tutti gli indicatori che rilevano la povertà in Italia, dalla povertà assoluta, a quella relativa, al rischio di povertà. Come stabili sono risultati nel 2023 rispetto al 2022, registrando, semmai, una riduzione di un punto percentuale del rischio di povertà. Detto questo, è chiaro che non c’è da rallegrarsi della situazione della povertà in Italia. Proprio per questo, gran parte dei provvedimenti presi dal Governo in questi tre anni sono stati rivolti a sostenere i redditi più bassi. Non pago, l’ex sindaco di Venezia ha affermato che il “reddito del ceto medio è precipitato”, sempre tirando in ballo l’Istat.
L’Istat non dice affatto questo
Istat che, nel Report “Conti Nazionali” dello scorso mese di aprile, scrive testualmente: “Nel 2024 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici a prezzi correnti è aumentato del 2,7% (+5,0% nel 2023), pari ad un incremento di 35,2 miliardi di euro. Prosegue a ritmi più contenuti la crescita dei prezzi determinando un aumento dell’1,3% del loro potere d’acquisto, ossia il reddito disponibile espresso in termini reali, che non aveva subito variazioni nel 2023”. Quindi, in sintesi, nel 2024 il potere d’acquisto delle famiglie è aumentato dell’1,3%, mentre l’anno precedente era rimasto stabile. E questa tendenza sta proseguendo anche nel 2025, con il reddito disponibile reale delle famiglie aumentato dell’1% nel primo semestre dell’anno. Non lo dice il Governo, ma l’Istat. Come direbbe Cacciari: “Insomma, sono statistiche, è l’Istat, si metta d’accordo con l’Istat”.
Salari contrattuali: altre bugie da sinistra
Approfittiamo per far chiarezza anche sui salari, in particolare sull’andamento dei salari contrattuali monitorato dall’Istat. Innanzitutto, bisogna dire che, da quando è in carica il Governo Meloni, i salari contrattuali hanno registrato una crescita molto più accentuata rispetto al passato (+2,9% nel 2023, +3,1% nel 2024, +3,3% da gennaio a settembre 2025). Crescita che, da ottobre 2023, è superiore all’inflazione, consentendo alle famiglie italiane di recuperare il potere d’acquisto perso negli anni precedenti. Infatti, la diminuzione, evidenziata dall’Istat nella sua nota, di 8,8 punti percentuali dei salari reali attuali rispetto a quelli di gennaio 2021 è dovuta principalmente al 2022, anno nel quale l’inflazione raggiunse l’8,7% e l’incremento dei salari contrattuali fu appena dell1,1%, erodendo il potere d’acquisto delle famiglie e lasciando gli italiani più poveri.
La riduzione è degli anni della sinistra al governo
Il recupero avvenuto in questi anni non colma la riduzione subita negli anni precedenti, ma segna una decisa inversione di tendenza con un primo importante recupero del potere d’acquisto.
Bisogna inoltre far chiarezza su cosa si intenda per retribuzioni contrattuali. Per retribuzione contrattuale si intende la retribuzione che fa riferimento alle misure tabellari stabilite dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali (oneri sociali). Quindi, sono necessarie due osservazioni
L’indice dei salari contrattuali dipende principalmente dai rinnovi dei contratti collettivi, quindi dalla contrattazione collettiva tra sindacati e associazioni dei datori di lavoro, con il Governo che, fatta eccezione per i contratti del pubblico impiego, può incidere solo parzialmente attraverso un’azione di moral suasion sulle parti per favorire rinnovi adeguati. Ed è quello che ha fatto sinora il Governo Meloni, con le retribuzioni contrattuali cresciute tre volte o anche cinque volte in più rispetto agli anni precedenti, come risulta dai dati Istat. E che continuerà a fare con ancora più forza il prossimo anno, anche attraverso misure previste nella legge di bilancio 2026: il riferimento è all’introduzione di un’aliquota sostitutiva del 5% sugli aumenti retributivi legati ai rinnovi dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti nel 2025 e nel 2026, misura cha ha il duplice obiettivo di favorire i rinnovi contrattuali e aumentare il netto in busta paga dei lavoratori.
Il governo ha aiutato i ceti medio-bassi
È un indice che, come detto, descrive l’andamento delle retribuzioni stabilite dai CCNL al lordo di tasse e contributi, e non l’andamento dello stipendio netto che percepisce il lavoratore. Non è quindi influenzato da alcun intervento di riduzione delle imposte o dei contributi a carico dei lavoratori, come ad esempio il taglio del cuneo fiscale o la revisione dell’IRPEF. Paradossalmente, anche azzerando tasse e contributi, l’indice non varierebbe. Come non tiene conto dei premi di produttività, non rientrando nelle voci tabellari dei CCNL, e sui quali il Governo ha sin dal suo insediamento dimezzato e per l’anno prossimo quasi azzerato le imposte.