La risposta agli attacchi
Il Garante della Privacy invita a leggere i suoi conti: quelli veri, non quelli «mistificati» da Report e Fatto quotidiano
Con una lunga e dettagliatissima nota, il Garante della Privacy risponde all’ennesimo attacco scagliato da Report dopo la sanzione ricevuta per la vicenda della pubblicazione della telefonata tra l’allora ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. Stavolta il tema è quello delle spese di gestione dell’Autorità, come si vede nell’anticipazione della puntata di domenica prossima e si è letto sul Fatto Quotidiano, che un paio di giorni fa s’è portato avanti col lavoro con un articolo dal titolo “Il Garante costa 50 milioni l’anno: stipendi da 250mila euro”. Nel pezzo si faceva esplicito riferimento alla prossima puntata della trasmissione di Ranucci e si snocciolavano cifre e riferimenti buoni per far sobbalzare sulla sedia il lettore, messo di fronte a un racconto da casta d’altri tempi.
Il Garante risponde al Fatto e Report
Il Garante non contesta l’inchiesta in sé e, in generale il fatto che si compiano inchieste sull’Autorità, che anzi definisce «un elemento centrale nella vita democratica», ma avverte che «è indispensabile che tali inchieste siano svolte senza pregiudizi e con l’obiettività necessaria a garantire all’opinione pubblica un’informazione corretta e attendibile». Per questo l’articolo del Fatto e l’anticipazione di Report, «rendono non più procrastinabili alcuni, necessari, chiarimenti, finalizzati a ribadire, nella verità della rappresentazione, l’efficienza amministrativa dell’Autorità».
«La prima necessaria precisazione – spiega il Garante – è di carattere logico, prima ancora che giuridico o finanziario: indicare e pubblicizzare numeri, cifre e informazioni relativi al costo di funzionamento di una qualsiasi organizzazione senza, contestualmente, proporre una rappresentazione dell’attività svolta da tale organizzazione è, a prescindere dalla natura dell’organizzazione in questione, un esercizio sterile e completamente inutile nella migliore delle ipotesi, pericoloso e fuorviante nella peggiore perché, ovviamente, quali che siano i costi indicati, questi ultimi appaiono sempre e inevitabilmente eccessivi a fronte dell’inesistenza di qualsivoglia riferimento all’attività cui quei costi si riferiscono».
Nel 2024 l’Autorità ha gestito oltre 100mila tra segnalazioni e reclami
«In questo contesto – prosegue la nota – vale, forse, la pena innanzitutto ricordare che il Garante per la protezione dei dati personali nel 2024, solo per stare agli ultimi dati consolidati disponibili, ha gestito oltre 100mila tra segnalazioni e reclami per presunte violazioni della privacy in danno di decine di migliaia di persone da parte di organizzazioni pubbliche e private nelle dimensioni più diverse della vita da quella personale a quella professionale, dalle cose del mercato a quelle delle democrazie».
La «palese mistificazione» sulle spese del Garante
Fatte le premesse, il Garante entra nel merito dei numeri, smontando punto per punto e conti alla mano le ricostruzioni tese a trasmettere l’idea di spese pazze, gestioni allegre e costi non giustificati o giustificabili. Il primo costo che viene smontato è quello «delle spese di rappresentanza del Garante ammonterebbe a 400mila euro». «Si tratta di dati che esprimono una palese mistificazione, sia metodologica che contenutistica», commenta quindi l’Autorità, scorporando voce per voce il dato complessivo. «Asserire che tali spese riguardino il Collegio, e non piuttosto il personale dipendente, il cui numero è peraltro significativamente cresciuto negli ultimi anni, per l’esercizio delle proprie attività d’ufficio (tra le quali, le ispezioni e l’attività internazionale), costituisce, con ogni evidenza, un palese travisamento della verità; affermare che tale voce ammonti a 400.000 euro è, comunque, smentito in atti. Fatta tale, doverosa, premessa si può passare alle voci che, realmente, perché rendicontate, riguardano i componenti del Collegio», prosegue la nota.
Anche in questo caso il Garante fornisce un lungo elenco di riferimenti puntuali, capitolo per capitolo, snocciolando cifre dettagliate alla virgola, con relativo riferimento alla voce di spesa. In questo contesto, il Garante si sofferma poi sui 5.919,74 euro per astucci portacellulari che, secondo quanto scritto dal Fatto, sarebbe stati «offerti ai carabinieri in cambio dell’uso della caserma di Tor di Quinto per i concorsi pubblici. Una permuta – si legge ancora nell’articolo – che riassume il paradosso: un’autorità che baratta gadget per caserme e indipendenza per un bonifico del Tesoro». In realtà, le cose sono molto meno grottesche di così. Anzi, non lo sono per niente. «Non si trattava di gadget, ma di supporti necessari a migliorare la dotazione delle postazioni delle aule concorsuali – si precisa nella nota del Garante – un miglioramento permanente a beneficio della sede di Tor di Quinto, a meno di non essere smentiti da un’istituzione nobile e indispensabile quale quella dell’Arma dei Carabinieri».
La Privacy perfettamente allineata a tutte le Autorità indipendenti
«Il Garante Privacy, come tutte le autorità indipendenti, non è un’azienda di servizi, ma un’amministrazione pubblica: il pagamento degli stipendi e delle indennità, dovute per legge e disciplinate dalla legge, è in perfetta linea con analoghi dati rinvenibili per l’Antitrust (84%) e per l’Agcom (76%), come è agevolmente ricavabile dai rispettivi siti – prosegue la nota – Il tutto a dimostrazione di una percentuale assolutamente fisiologica», si legge ancora nella nota, che ricorda come per la Privacy la percentuale è dell’84%.
La verità sulle indennità dei componenti del Collegio
Stesso discorso per le indennità dei componenti del Collegio, che, come prevede la legge, sono equiparate «alla retribuzione in godimento al primo Presidente della Corte di Cassazione», esattamente come per tutte le altre Autorità indipendenti: Agcm, Agcom, Art, Arera, Ivass, Consob. La nota si chiude, infine, con un ulteriore, lungo elenco contabile che spiega la giacenza di cassa.