L'intervista
«Siamo cresciuti nel nome di Falcone e Borsellino: la riforma libera la giustizia dalla politica». Parla Delmastro
Il sottosegretario spiega perché dopo 40 anni di tentativi ci voleva il governo Meloni per raggiungere l'obiettivo e si dice certo che «molti magistrati festeggeranno» la riforma
Quella della giustizia è una riforma «epocale, necessaria, storica», che, a differenza di quello che va propagandando la sinistra, «non è contro i magistrati, ma per i magistrati». A partire dal fatto che li libererà «dal potere cancerogeno delle derive correntizie», rimettendo al centro i meriti professionali e la libertà troppo spesso compressi dalle affiliazioni. Alla vigilia dell’approvazione definitiva al Senato, attesa per domani, ne abbiamo parlato con il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Che ricorda anche un dato “biografico” di questa destra di governo, centrale per capire lo spirito con cui è stata affrontata la riforma: «Noi siamo figli di una generazione che ha assunto l’impegno politico anche sull’onda emotiva dei crateri di Capaci e via D’Amelio. Siamo una generazione che non vuole in alcun modo una riforma contro la magistratura, ma per la magistratura, la medesima riforma in cui credeva Giovanni Falcone».
Sottosegretario, della riforma della Giustizia si parla da circa 40 anni e ci sono stati innumerevoli tentativi di realizzarla, a destra come a sinistra, ma mai nessuno ci era riuscito. Cos’ha fatto la differenza?
«La differenza credo sia esattamente quella che abbiamo segnato sull’occupazione. Mi ricordo un intramontabile, straordinario Silvio Berlusconi che in campagna elettorale faceva il patto con il popolo italiano e parlava di un milione di posti di lavoro in più. Noi abbiamo raccolto quell’eredità, ma in tre anni abbiamo fatto 1,2 milioni posti di lavoro. Vuol dire che abbiamo raccolto l’eredità di tutto il centrodestra, ma anche cambiato passo».
Cos’ha reso possibile questo cambio di passo?
«Due elementi, che erano necessari perché potesse esserci. Il primo, il fatto che Giorgia Meloni non abbia scheletri nell’armadio e che non pensi ai propri interessi ma a quelli generali, come scriveva proprio un magistrato, Marco Patarnello, nella famosa email in cui avvertiva alcuni colleghi su quanto questo rendesse “pericolosa” la premier. Il secondo, il fatto che per la prima volta c’è una destra che prende i voti a destra e li spende a destra e non per diventare accettabile nei salotti buoni della sinistra. La sinistra ha sempre voluto fare gli esami del sangue alla destra e la destra ha accettato di farseli fare. Ora c’è una destra che non lo accetta e si tiene molto, ma molto lontana da quei salotti».
Anm e sinistra terrorizzano l’opinione pubblica parlando di deriva illiberale, di pm sotto controllo del governo, etc. Cosa risponde?
«Che è una grossa menzogna. Io credo che mio figlio Giovanni di 11 anni abbia compreso, sulla base della pubblicità “due gust is megl che uan”, che se un Csm garantiva indipendenza, libertà, autonomia, due Csm raddoppiano quelle garanzie. Allora, se lo ha capito mio figlio Giovanni di 11 anni, credo che lo abbiano capito anche i magistrati, che sanno benissimo che il pm mai sarà sottoposto all’esecutivo. È scritto il contrario: avrà un suo Csm. Per questo io credo che si voglia contrastare ben altro aspetto, ovvero il sorteggio che eradicherà il potere cancerogeno della deriva correntizia che ha occupato manu militari il Csm, mortificato il merito, promosso per affiliazioni e non per professionalità. E ritengo che tanti giudici festeggeranno come noi la vittoria al referendum. Non solo libereremo la magistratura dalla politica, ma tanti, tantissimi magistrati per bene dal gioco delle componenti, archiviando definitivamente la stagione dell’Hotel Champagne e del Palamara-gate che tanto male ha fatto alla magistratura».
Come giudica la decisione dell’Anm di costituirsi in comitati per il no?
«Io sono convinto che la magistratura possa e debba esprimere il suo parere, dovrebbe però farlo in maniera il più soft, istituzionale e meno militante possibile perché nessuno ha piacere che il referendum diventi uno scontro tra poteri, da cui uno fatalmente uscirebbe sconfitto. E non credo sia la politica».
Il presidente dell’Anm Parodi assicura che il comitato è indipendente e che i magistrati non fanno politica…
«Io sono certo che questo sia il reale pensiero di Parodi. Non sono sicuro che sia il reale pensiero di taluni magistrati che fino ad oggi hanno fortemente danneggiato l’immagine della magistratura stessa».
A questo proposito, Parodi l’altro giorno non ha escluso l’ipotesi di una persecuzione nei confronti di Berlusconi, salvo poi fare una netta marcia indietro. Oggi, in un’intervista al Corriere della Sera, ha espresso la preoccupazione che «se dovessero emergere concreti dubbi su condotte negative (dei magistrati, ndr), potrebbero portare maggiore consenso alla riforma» e ha confermato di essere pronto a dimettersi nel caso in cui il referendum dovesse andare male. Sono i segnali del fatto che l’Anm non è poi così granitica come vorrebbe apparire?
«Sulle “condotte negative” registro la preoccupazione di Parodi, chi sono io per dire il contrario? In generale, mi pare evidente che Parodi rappresenti un segmento importante della magistratura che conosce i confini vicendevoli dei poteri. Ma a mio modo di vedere purtroppo si è trovato a ereditare una stagione avvelenata e contraddistinta da una strisciante guerra civile che non ha fatto bene a nessuno. Ed è il motivo per cui io penso che, non so Parodi, ma molti magistrati festeggeranno intimamente la riforma».
Queste fibrillazioni sono ultimi sussulti di un sistema correntizio che si vede franare il terreno sotto i piedi?
«Assolutamente sì, ed è il motivo per cui io penso che il vero problema sia il sorteggio, ovvero il fatto che vogliamo garantire al 95% di giudici sempre fuori dai giochi delle correnti che finalmente la loro carriera sia determinata dal merito e non dalla affiliazione a questa o quell’altra componente. Restituendo finalmente alla giustizia e all’organizzazione della giustizia una parola che ultimamente aveva faticato ad affermarsi: libertà».