 
		La riforma
Ponte, governo, Corte dei Conti e “poteri forti”: una storia di incontri e scontri. Alla sinistra rinfreschiamo la memoria
La Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità alla delibera per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. La premier Meloni ha denunciato l’”ennesimo atto d’invasione” da parte della magistratura. La Corte, dinanzi alla presa di posizione della presidente del Consiglio, ha voluto precisare che la decisione é motivata da “profili strettamente giuridici”, senza alcun tipo di valutazione “sull’opportunità e sul merito dell’opera”. Insomma, secondo i giudici la questione è in punto di diritto, la politica non c’entra. Il governo ne ha preso atto e attenderà le motivazioni prima di prendere una decisione sulla via da prendere. Saggiamente, secondo me.
Un tornante “sfortunato” di duro scontro tra governo e Anm
Purtroppo, la vicenda del Ponte è incappata in uno “sfortunato” tornante di scontro durissimo tra il governo e l’ Associazione nazionale magistrati; la quale, purtroppo, alla vigilia del referendum sulla riforma, sembra fare un tutt’uno con l’opposizione. Anche a volere essere buoni, è difficile dare torto alla presidente del Consiglio perché troppa roba è stata ammassata dal potere giudiziario contro questo esecutivo: censura ripetuta a ogni trasferimento dei migranti ai centri in Albania, caso Almasri, contrasto senza mediazioni della riforma della giustizia et cetera che ben conosciamo.
Poi, non si é dissolto del tutto il cattivo ricordo della “dottrina Degni”, quel magistrato della Corte dei Conti, il quale in occasione dell’approvazione della manovra finanziaria, il 30 dicembre 2023, postò su Twitter così: “Occasione persa. C’erano le condizioni per l’ostruzionismo e l’esercizio provvisorio. Potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata e gli abbiamo invece fatto recitare Marinetti”. Il tweet taggava la leader del Pd Elly Schlein. Un post rivelatore. Gravissimo. Insomma, la “bocciatura” del Ponte, arriva in un momento di tensione; che coincide con la data dell’approvazione della riforma della giustizia. E con la discussione parlamentare in corso della riforma della Corte dei conti, che forse va meditata e concertata, fin dove possibile. La pelosa solidarietà dell’Anm “ai colleghi della Corte dei Conti ingiustamente attaccati da esponenti del governo” deve fare riflettere. I giudici contabili non c’entrano con la riforma sulla “separazione delle carriere”, ma l’Anm cerca di tirarli “dentro” lo scontro e lo schieramento referendario.
La Corte dei Conti e i governi: incontri e scontri
Dannatissima circostanza. E con la reminiscenza di qualche, non proprio grazioso, souvenir arrivato “da là”. Ma ragioniamo lo stesso. Tre anni fa i vertici della giurisdizione contabile chiesero al governo Meloni un tavolo di confronto per cambiare una norma che “sottraeva ” competenza alla Corte in ordine al PNRR, contraendo l’area delle responsabilità amministrative. E fresco di nomina, il governo aderì alla richiesta. Secondo alcuni l’incontro con i vertici della Corte fu un atto positivo di bon ton tra rappresentanti delle istituzioni. Secondo altri, fu un “passo” inedito da parte di uno dei “poteri forti” della Repubblica. L’incontro ci fu, in un’atmosfera cordiale, ma non produsse una modifica della legge nel senso auspicato dai magistrati; peraltro la norma allora contestata era una proroga della legge varata e mantenuta da esecutivi precedenti (Conte 2 e Draghi).
Su quel “passo” della Corte, Sabino Cassese fu particolarmente severo: “La Corte dei Conti chiede un tavolo di confronto con il governo sull’adozione di una legge. Tavolo di confronto è l’espressione che adoperano normalmente i sindacati nei confronti dello Stato. La può utilizzare quello che è uno dei più grandi corpi dello Stato? Se si accetta questo tipo di terminologia non si finisce per riconoscere che lo Stato è diventato una specie aggregazione di corporazioni, di interessi e che quindi ha perduto ogni capacità di decisione?”. Ancora più critica, decisamente polemica, fu l’osservazione di Giuseppe Salvaggiulo nel fortunato libro “Io sono il potere” (Feltrinelli, 2023), scritto a quattro mani con un capo di gabinetto; rimasto anonimo per i più: ma so che è uno che “sa”. Nel glossarietto del volume, la voce “Corte dei Conti” viene trattata con l’arsenico, manco le pagine avvelenate dal monaco cieco de “Il nome della rosa”: “Non si è mai capito come si sia formato un così immenso debito pubblico pur essendoci, dal 1862, un organo che vigila sui conti delle amministrazioni e sulla spesa pubblica”.
La censura di Padellaro
Abrasiva fu anche la censura dei giudici contabili da parte di Antonio Padellaro, fondatore e columnist del giornale vicino al M5S, in una recensione del suddetto volume:“davanti al progetto illustrato dal premier per rendere più rapide ed efficienti le procedure di assegnazione delle opere e degli appalti – denunciava – hanno fatto trapelare il loro dissenso, paventando illegalità, corruzione, sperpero del pubblico denaro. Ragioni più o meno fondate che non cancellano la sensazione di un meccanismo di autodifesa corporativa: se i chierici non servono più la messa, a cosa servono? “(Il Fatto Quotidiano, 8 luglio 2020).
Lo “sgarbo” di Conte
Cattivissimo. Solo che il premier, per il quale Padellaro si impegnava in questa appassionata difesa-attacco alla Corte, non era Giorgia Meloni, ma Giuseppe Conte alla guida del gabinetto M5S-Pd (con dentro ministri del calibro di Franceschini, spirito-guida della Schlein, Gualtieri e Guerini). Il quale Conte oggi vive una fase di oblìo, o soffre di una crisi di identità, in quanto attacca la Meloni a testa bassa per avere denunciato, peraltro con poche e misurate parole, quella che, in questo momento, è sembrata un “andare oltre” delle toghe contabili. Ma è lo stesso Conte che, da capo del governo “giallo-rosso”, rifiutò addirittura un incontro chiestogli da Angelo Buscema, al tempo presidente della Corte; il quale, dopo un passaggio in Consiglio di presidenza, reagì allo “sgarbo” inviando una lettera al Presidente Mattarella nella quale lamentava che la riforma di Conte sulla riduzione dell’area delle responsabilità ai soli casi di “dolo”, escludendo quelli di “colpa grave”, si poneva “in contrasto con i principi costituzionali, creerebbe un’ area di immunità per attività gravemente negligenti o imprudenti che implicano sempre un dispendio di risorse pubbliche”.
La Bicamerale D’Alema e il sistema dei controlli
Alla sinistra va poi sbloccata la memoria anche su un’altra vicenda, di più vasta portata. E precisamente il ricordo della Bicamerale D’Alema sulle riforme istituzionali (1997-1998). Per la progettata riforma della Corte dei Conti, la relazione, sottoscritta da Marco Boato (Verdi) – non proprio un “destro” – e approvata con voto bipartisan da tutta la Commissione, prometteva una radicale revisione del suo ruolo e soprattutto delle sue funzioni di controllo. Nella nuova formulazione dell’articolo 113 della seconda parte della Costituzione, si pensava di togliere del tutto alla Corte il “controllo di legittimità “, in atto previsto dall’articolo 100 dell’attuale Carta – esattamente il riscontro negato alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) per il Ponte – per passare “ad una nuova e più moderna prospettiva volta, invece, al controllo successivo dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa.
Si deve d’altra parte sottolineare che il testo approvato non fa riferimento al parametro di controllo dell’efficacia, previsto da alcuni emendamenti non accolti, in quanto tale parametro – continuava il testo – avrebbe presupposto in capo alla Corte dei conti lo svolgimento di valutazioni di merito tali da coinvolgere responsabilità di natura politica che non possono che spettare ad organi responsabili e legittimati politicamente”. Il problema era ben chiaro a quella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema leader storico del Pds, il partito progenitore del Pd con vice Pinuccio Tatarella, numero due di An, allora guidata da Fini.
La relazione-Boato sulla riforma della Corte
“La Corte dei conti è quindi chiamata ad una grande sfida per contribuire alla crescita del Paese, ed è certo che un istituto di così grandi tradizioni – si legge ancora nella relazione Boato – saprà raccoglierla e affrontare nel migliore dei modi le difficoltà che un cambiamento di tali dimensioni richiede, non solo in ordine alle strutture ma anche alla mentalità ed alla professionalità dei suoi componenti. In questa rinnovata prospettiva – concludeva la relazione – sarà sicuramente superata la comprensibile tentazione della difesa di posizioni e competenze (quali il controllo di legittimità formale del singolo atto che troppo spesso non serve ad altro se non a ritardare inutilmente l’azione della pubblica amministrazione, quando non e` strumentalmente utilizzato per interferire con l’esercizio di altre responsabilità) che riflettono esigenze non piu` primarie per uno Stato moderno, il quale deve affrontare la sfida della complessità e funzionalità dell’apparato pubblico nella prospettiva europea e della globalizzazione”.
Chiaro, no ? La politica sa da tempo che il problema dei controlli – e dei controllori – esiste e che è, appunto, un problema. E la Corte sa anche che prima o poi si dovrà affrontare la questione dell’unicità della giurisdizione. La quale si riassume nell’idea “politica” – già adottata dalla Bicamerale – che, in avvenire, un qualsivoglia giudice non può e non deve esercitare sia funzioni giurisdizionali, sia funzioni di controllo; occorre separare le une dalle altre: è una questione antica, forse è la “separazione” del futuro. In altri termini: la Corte non dovrebbe controllare e insieme giudicare. Il che é esattamente ciò che oggi fa, a Costituzione vigente (articoli 100 e 103). Ma il discorso ci porterebbe molto più lontano da dove siamo partiti. Io credo che ci sarà tempo per discutere nel merito.
A lezione di realpolitik: la Corte dei Conti è uno dei “poteri forti”
Io resto al politico. Alla realpolitik. E alla sua lezione di etica della responsabilità: weberiana (allo stimatissimo prof Cassese dico: la Meloni a me pare eccellente allieva di Max Weber, non di Palmiro Togliatti). E penso che la Corte dei Conti resti tra i veri “poteri forti” della Repubblica. Uno dei “patres conscripti” della destra di governo, Pinuccio Tatarella – maestro dell’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa – vicepremier del primo governo Berlusconi, insegnava che con i poteri forti bisogna trattare:”penso che oltre all’istituto-governo c’è l’istituto-extra governo, la vera “ombra”, quelli che io chiamo i poteri forti… ma lo scettro ce l’hanno i cittadini. E con il voto l’hanno affidato a questo governo”. (La Stampa, 10 agosto 1994).
Il Ponte é un’opera strategica per l’Italia
Ecco. Sono trascorsi più di 30 anni e siamo tuttora dentro quella dinamica: quella dialettica che resiste; persiste, inutile fingere non ci sia. Il che vale ancor più per un esecutivo nuovo che vuole governare con la pienezza dei poteri – si, proprio così, non è una bestemmia: i cartelli in aula dell’opposizione fanno sorridere – che gli è riconosciuta dalla Costituzione repubblicana, sulla quale vigila il Capo dello Stato, e dal voto popolare. E che vuole realizzare un’infrastruttura strategica per lo sviluppo del Paese: un’opera storica. Con una differenza rispetto al tempo di Tatarella e di un governo (il Berlusconi 1) che durò appena otto mesi: oggi a Palazzo Chigi c’è un presidente del Consiglio di destra. Giovane. Donna. Determinata. Senza scheletri negli armadi e senza conti da regolare; guida uno dei gabinetti più longevi della storia repubblicana, apprezzato dagli ambienti economici e molto credibile a livello internazionale.
La via del dialogo
Forse la via da seguire è “trattare”, nel senso del dialogo, della reciprocità: cioè non irrigidirsi e seguire la via dell’interlocuzione; da una parte e dall’altra, quando é possibile. Ecco: parlarsi, nello spirito di leale collaborazione tra organi dello Stato; conviene a chi governa, conviene a chi controlla. Perché realizzare il Ponte – un’opera da 100 mila posti di lavoro, che proietta la nostra Nazione nel mondo di domani e dà lustro al nostro genio tecnico e imprenditoriale – “conviene” a tutti; conviene all’Italia.
 
				