CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

Le testimonianze dei cittadini, dei soldati e dei politici israeliani dopo gli accordi di pace: persone dilaniate dalla guerra

La missione a Tel Aviv

Le testimonianze dei cittadini, dei soldati e dei politici israeliani dopo gli accordi di pace: persone dilaniate dalla guerra

L'Intervento - di Sara Kelany* - 28 Ottobre 2025 alle 12:42

La giornata inizia presto, di buon mattino, di fronte al mare di Tel Aviv. La città, sin dalle prime luci dell’alba, sembra essere sveglia da ore: le persone animano il lungo mare e alcuni stanno già facendo il bagno in quelle acque calme che hanno visto troppo. Il briefing mattutino ha ad ogggetto il diritto internazionale e i conflitti. Un ottimo avvocato consulente per le forze armate ci racconta degli orrori delle guerre viste con gli occhi di chi deve consigliare i governi e gli eserciti nelle decisioni più complesse.

David Benjamin, con esperienza ventennale sul campo, con un’aria mite e con la calma gentile di chi ha un’enorme competenza, ci racconta come vengono assunte le decisioni in una guerra che porta a combattere un esercito regolare contro un’organizzazione terroristica, che usa i propri figli come scudi umani. La guerra è un brutto affare, ma quando necessaria è astretta a regole e limiti che non possono essere travalicati. Evitare le sofferenze dei civili è una di quelle e ogni decisione deve essere assunta con questo metro. Ogni determinazione è frutto di valutazioni che coinvolgono esperti civili e militari, perchè nelle democrazie funziona così e la politica risponde per le proprie scelte non solo di fronte agli occhi occhi dei propri cittadini o del mondo, ma di fronte alla propria coscienza collettiva, oltre che individuale.

I volti dei soldati israeliani sfiniti dalla guerra

Ebbene, chi non ha la sventura di vivere una guerra sulla propria pelle non può avere neanche lontanamente idea di cosa significhi dover decidere di lanciare delle bombe, posizionare l’artiglieria, lanciare dei missili balistici o fare fuoco con un mitra. Qui putroppo lo sanno bene. Lo testimoniano i volti delle miriadi di soldati che si incontrano per strada, alcuni poco più che bambini. Qui la leva militare, eccezion fatta per gli ortodossi – e questo è un problema di natura interna – è lunga e difficile. Alla maggiore età i ragazzi e le ragazze israeliane servono la Patria per tre o due anni, perchè questo è uno Stato perennemente esposto.

Finito il briefing abbiamo preso la strada per Gerusalemme, una visita allo Yad Vashem ci ha fatto ragionare su quanto ancora oggi non ci si possa voltare dall’altra parte quando è in ballo la dignità delle persone e quanto sia ancora oggi presente e viva fra di noi la “banalità del male”.A chi oggi nelle piazze grida slogan senza senso, chiederei di venire qui, a guardare i volti delle vittime della Shoa, riflesse in uno specchio nero di acqua in fondo ad un pozzo. È poi la volta della città vecchia, in cui all’ora della preghiera, di fronte alla cupola d’oro, si fondono in un suono di speranza per il futuro le melodie intonate dai Muezzin con il suono delle campane. Là dove tutto sembra poter deflagrare da un momento all’altro, si ha la sensazione tangibile di come moschee, chiese e sinagoghe siano separate dallo spazio di nulla e a far da cerniera a tutto questo due ragazzini seduti su di un muretto danno da mangiare a un gatto randagio, mentre si raccontano probabilmente i loro sogni di pace.

Due popoli, due Stati: per una pace duratura

Alla Knesset ci riceve Shelly Tal Maron, deputata di opposizione, che ci parla di quanto voglia rovesciare il governo in carica, ma di quanto, al contempo, lei ami la sua Patria. Ferma assertrice dei due popoli e due Stati, ritiene imprescindibile l’eliminazione della minaccia di Hamas e ci chiede perchè non si raccontino le sofferenze di tutti i popoli coinvolti, quello dei civili di Gaza e quello di Israele. Sua figlia più piccola aveva quattordici anni dopo il 7 ottobre e quando accadde il fatto, disse alla madre: “se dovesse succedere a me di essere rapita dai terroristi, mamma, come stai facendo per loro, lotta per me, per riavermi a casa, ma non ti piegare mai a scambiarmi. Non voglio essere oggetto di scambio”.

Questi sono i sentimenti che qui le persone si portano sulle spalle come fardelli troppo grandi da sostenere. E nonostante tutto e tutti, quello che chiedono a gran voce è di vivere in sicurezza ed armonia. E con buona pace delle opposizioni nostrane, preoccupate solo di leggere il conflitto in maniera funzionale ai propri beceri interessi di bottega, qui tutti, per le strade fin nei palazzi del potere, ringraziano Trump, perchè ha aperto uno spiraglio che sembrava impossibile. Finisce la serata con un attivista Palestinese, che dà la misura di quanto una speranza ci sia. Ci racconta che per avere la Pace deve cambiare la mentalità e che per tanti di loro questo stia già avvenendo, perchè per quelli della sua generazione non si può neanche immaginare la Palestina senza Israele. L’ho guardato fisso negli occhi ed ho concluso: “Spero davvero tu abbia ragione”.

*Deputato di Fratelli d’Italia

Non ci sono commenti, inizia una discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Sara Kelany* - 28 Ottobre 2025