
Sfide inedite
È bella, moderna e non esiste: è Tilly Norwood, la prima attrice generata con l’Ai. Hollywood trema: un’illusione o un incubo?
Realizzata dallo studio di produzione Van der Velden, questa giovane donna artificiale che insidia le star in carne e ossa rappresenta una nuova frontiera. La sua creatrice minimizza, paragonandola ai cartoni animati, ma i lavoratori dell'industria del cinema percepiscono un pericolo
Immagina, puoi. Lasciate stare però George Clooney. C’è un film, datato 2013, che ci introduce forse meglio di qualunque altro nella vicenda dell’intelligenza artificiale. Parliamo di Lei, Her nella versione statunitense, del regista Spike Jonze. Il cineasta di Rockville è quello che ha reso, dietro a una cinepresa, immortale Johnny Knoxville e la sua banda con Jackass, ma ancor prima ha firmato uno dei film più particolari, differenti termini non ci sono, della cinematografia mondiale ovvero Essere John Malkovich. Ma quello che ci interessa è Lei.
Oltre a dirvi che ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, vi portiamo un minimo nella trama. Il protagonista è Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) e una vita come milioni tra noi. Un matrimonio alle spalle e il colletto bianco di chi lavora tra IA e uffici con vetrate ovunque. Open space e la vita che scivola via tra videogiochi e chat telefoniche. Ecco che abbiamo presentato l’architrave di queste righe, ovvero l’IA. Theodore è un uomo solo, come descrivono i Pooh, e quella donna compagna fin dall’infanzia con cui non è andata gli lascia uno strascico profondo. Il contatto umano è totale. E quindi decide di acquistare, dopo aver ascoltato uno spot pubblicitario, un nuovo sistema operativo, OS 1, che attraverso l’intelligenza artificiale struttura la propria personalità, la modella e si modella sull’utente che la usa. Sceglie una voce femminile e l’insieme avviato decide di auto-nominarsi Samantha, nella versione originale Scarlett Johansson.
Questa lunga introduzione – perché l’evolversi del film ve lo immaginate con l’amore, se così vogliamo chiamarlo, tra il protagonista e il sistema che scoppia minuto dopo minuto – per tornare alle pendici dell’intelligenza artificiale. Uno dei quadri cardine di questo tempo che attraversiamo. Il girato, di dodici anni fa, di Jonze sembrava un domani messo lì e invece è già oggi.
A Hollywood, infatti, è comparso lo spettro di Tilly Norwood, ovvero la prima attrice costruita tramite IA che è stata presentata allo Zurich Summit, nel corso dello Zurich Film Festival. Su Instagram ha già più di 50mila seguaci ed è una bellezza, decisamente altera, al momento messa in mostra in quindici post, quasi tutti datati 6 maggio. A un occhio disattento – distratto e senza la lettura dell’avvertenza “Informazioni IA” – potrebbe sembrare la prossima stella del maxischermo. Con tutte le carte in regola per essere, se non un’artista dicendola alla Piero Ciampi, il volto degli anni a venire. Il padre della creatura è lo studio di produzione di Eline Van der Velden, leggasi attrice, comica e technologist olandese che vede in Tilly la prossima stella di Hollywood.
In quel di Zurigo hanno lanciato questo ammasso di dati in una parte cinematografia, mettendo sul tavolo le sue doti artefatte. Lei racconta di venire da Londra e sui social, come anticipato, ci parla di una vita tra frappuccini, giornate uggiose e sorrisi. Però non tutti l’hanno presa bene. Vedi il sindacato degli attori Sag-Aftra. Senza passare dal via hanno puntato il dito. «La creatività – dicono – è, e deve rimanere, incentrata sull’essere umano». Per aggiungere la loro contrarietà «alla sostituzione degli interpreti umani con entità sintetiche». Per questo motivo Van der Velden ha dovuto prendere parola: «A tutti coloro che hanno espresso rabbia per la creazione del mio personaggio con IA, Tilly Norwood, non è una sostituzione di un essere umano, è un lavoro creativo, un’opera d’arte. Come molte altre forma artistiche prima di lei, scatena la conversazione, ed è questo il potere della creatività».
La creatrice di Tilly continua: «Non vedo l’IA come qualcosa che prende il posto delle persone, ma come un nuovo strumento, un nuovo pennello. Proprio come l’animazione, i burattini o Cgi hanno aperto nuove possibilità senza togliere nulla al live action. L’IA offre nuovi modi di immaginare e costruire storie». Quello che ci interessa è l’atteggiamento moralistico di Sag-Aftra. Un riflesso da casta che non vuole intromissioni nel proprio dehor. Nessuno spazio per l’altro. Il Grande altro, citando Lacan e Zizek, non gradisce ulteriori invitati a cena.
Ma Tilly è l’ingegno umano folgorato dalla tecnica odierna. E lei può terrorizzare la “fabbrica dei sogni”? Del resto davanti al nuovo e all’assenza di dominio sul frutto appena sbocciato della tecnologia restiamo impietriti. Spaventati come il primo uomo illuminato dal sorge del fuoco. Tilly vivrà? Spopolerà? Cambierà i paradigmi? Non lo sappiamo, ma in un’era che rimpiange la Gioconda che fu implorando, solamente, di replicarla all’infinito il sorgere di una Monna Lisa differente è quello che ci rende padroni della tecnica. E le vie sono due: il dominio di essa oppure la replica di un futuro che non ci appartiene.