
Il caso del generale libico
Almasri, le bugie della sinistra a cui non frega nulla dell’interesse nazionale. Ecco perchè Nordio ha ragione
Niente da fare, la sinistra resta con le pive nel sacco anche sul caso Almasri. La Camera dei Deputati ha respinto gli assalti dell’opposizione a Nordio, Piantedosi e Mantovano negando l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro della Giustizia, dell’Interno e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, chiesta dal Tribunale dei Ministri, per la vicenda del rimpatrio del generale libico. Ma come mai tanto accanimento e quali erano le ragioni del governo per aver spedito su un volo di Stato, il Libia, il generale libico?
Caso Almasri, le ragioni del governo Meloni e le critiche della sinistra
Il governo italiano ha sempre motivato la decisione con esigenze di sicurezza nazionale e ordine pubblico. Il governo sostiene che la decisione di liberare e rimpatriare Almasri, ex capo milizia libico accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale, fosse un atto necessario per tutelare l’interesse fondamentale dello Stato italiano in relazione ai rischi di possibili ripercussioni sia per gli italiani in Libia sia per la sicurezza dello stabilimento Eni di Mellitah. In particolare, la memoria difensiva firmata dai ministri coinvolti (Nordio, Piantedosi, Mantovano) sottolinea che le loro decisioni erano volte a prevenire rischi concreti derivanti dalla permanenza di Almasri in Italia e che l’intervento è stato rapido e giustificato dalla pericolosità del soggetto. Anche la premier Meloni, la cui posizione è stata archiviata, aveva richiamato ragioni di sicurezza nazionale.
Il governo ha dichiarato di aver agito nel rispetto della legge e di aver considerato le diverse richieste di estradizione, preferendo quella di Tripoli rispetto a quella della Corte penale internazionale per motivi di sicurezza.
La relazione della giunta su tutta la vicenda
In aula, oggi, Pietro Pittalis, relatore in Giunta per le autorizzazione a procedere sulla vicenda e che ha invitato l’Assemblea a confermare il No della Giunta all’autorizzazione a procedere, ha a sua volta ribadito che Piantedosi e Mantovano agirono “per un preminente interesse pubblico”. “L’AISE aveva accertato – ha detto Pittalias – come il trattenimento in Italia di Al-Masri potesse generare gravissime criticità per la sicurezza e per gli interessi diplomatici e commerciali italiani in Libia. Le riunioni convocate d’urgenza tra il 19 e il 21 gennaio evidenziavano un rischio di ritorsioni concreto, immediato e altamente plausibile, con specifica esposizione a pericolo del personale della rappresentanza italiana a Tripoli, dei civili presenti nella capitale e dei cittadini italiani in transito presso l’aeroporto di Mitiga. In tale contesto le minacce di atti ostili in caso di mancato rimpatrio di Al-Masri non apparivano ipotetiche o vaghe, ma concrete, pur se non interamente prevedibili nella loro modalità. Si tratta – si badi bene – di timori che erano pienamente condivisi da tutti i massimi vertici istituzionali preposti alla tutela della sicurezza nazionale e internazionale dell’Italia, vale a dire dai Direttori dell’AISE, dell’AISI, del DIS, dal Capo della polizia e dal Ministro dell’Interno, cui occorre tributare la massima fiducia e rispetto quando essi gestiscono situazioni così delicate che possono avere un impatto reale e concreto sulla vita e sulla incolumità delle persone”.
“Dunque, in una situazione così complessa in Libia come quella descritta dai servizi – ha proseguito – cosa avrebbe potuto e dovuto fare di diverso il Governo, se non intervenire in via precauzionale per tutelare la vita e l’incolumità dei numerosi italiani residenti in Libia? Non è forse questo il primo dovere di uno Stato, sancito anche dall’ordinamento costituzionale: proteggere la vita e l’incolumità dei propri cittadini ovunque si trovino?”. “Un Governo che si rispetti doveva forse attendere che un proprio concittadino venisse effettivamente rapito, minacciato per intervenire o che, addirittura, ci scappasse il morto?” “Alla luce di tutte le argomentazioni esposte – ha concluso – siamo fermamente convinti che quello in esame costituisca il vero e proprio caso di scuola di come un Ministro – nella specie, due Ministri e un Sottosegretario – abbiano agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante e per perseguire un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.