
L'offensiva
Trump li dichiara “terroristi”: ecco chi sono gli Antifa americani, “black bloc” che giocano alla rivoluzione…
La decisione della Casa Bianca consente indagini rafforzate su finanziamenti e legami esteri del movimento, ma resta il nodo della legittimità costituzionale e della possibilità stessa di identificarne i membri
Donald Trump ha mantenuto la promessa che aleggiava da anni. Con un ordine esecutivo firmato a Washington, il presidente degli Stati Uniti ha designato Antifa come «organizzazione terroristica interna». La Casa Bianca non ha usato mezzi termini: «Antifa è un’organizzazione militarista e anarchica che chiede esplicitamente il rovesciamento del governo, delle forze dell’ordine e del nostro sistema legale». Un’etichetta pesante, che nella logica dell’amministrazione apre la strada a indagini rafforzate, poteri di sorveglianza ampliati e tracciamento dei finanziamenti, anche esteri.
La definizione della Casa Bianca
Nelle carte firmate da Trump, il movimento viene descritto come una campagna coordinata «per ostacolare l’applicazione delle leggi federali attraverso scontri armati con le forze dell’ordine, rivolte organizzate, attacchi contro l’agenzia Immigration and Customs Enforcement, doxing e minacce contro politici e attivisti». A giustificazione del decreto, il testo parla di reclutamento di giovani, addestramento paramilitare e sistemi sofisticati per celare identità, fondi e operazioni. Da qui la scelta di collocarlo come vera e propria minaccia.
Antifa, un movimento senza struttura
Eppure, Antifa resta un’entità sfuggente. Reuters lo definisce più simile a un movimento che a un’organizzazione: privo di leader, di organigrammi e di gerarchie riconosciute. Lo storico e scrittore Mark Bray lo ha descritto come un’etichetta che accomuna gruppi informali e autonomi. Lo stesso ex direttore dell’Fbi Chris Wray, già nel 2020, chiarì che non si trattava di un «gruppo» ma di un’ideologia. È capillare. In concreto, si tratta di attivisti vestiti di nero, paradossalmente, uniti dall’odio per il fascismo, il nazismo e la destra in generale, ma soprattutto il dato più preoccupante: si tratta di gente pronta a giustificare l’uso della violenza come strumento politico.
Dalle piazze alle proteste
Il nome Antifa emerse con forza nel 2017, quando a Charlottesville un’auto lanciata contro un corteo antirazzista uccise un’attivista. Tre anni dopo, durante le manifestazioni seguite alla morte di George Floyd, Trump chiese già di metterla al mando, senza però arrivare al decreto. Oggi quell’ipotesi è diventata realtà.
Potere alle agenzie federali
Il nuovo ordine esecutivo apre, in ogni caso, scenari delicati: consentirà al Federal Bureau e alle divisioni antiterrorismo di monitorare le finanze e i contatti internazionali di gruppi e associazioni sospettati di legami con l’universo degli antifascisti. Fonti della Casa Bianca hanno spiegato a Reuters che «l’attenzione generale è rivolta al denaro straniero che infiltra la politica statunitense e crea collegamenti con conti bancari esteri». In teoria, questo potere permetterebbe di citare in giudizio banche, bloccare transazioni e indagare su flussi finanziari mai analizzati prima.
Ombre legali e costituzionali
Il nodo poi è anche giuridico. Negli Stati Uniti non esiste un elenco ufficiale di organizzazioni terroristiche interne, e la legge non prevede che l’adesione a un’ideologia costituisca reato. L’Anti-Defamation League, che monitora i gruppi estremisti, sottolinea inoltre che la violenza attribuita ad Antifa non rappresenta la norma. Dunque, non è difficile prevedere che i tribunali saranno presto chiamati a dirimere la questione e ribaltarla come è già stato fatto più volte con il tema dell’immigrazione.
Un provvedimento che divide
I critici parlano di un attacco diretto alla libertà di parola e agli oppositori del presidente. I sostenitori, al contrario, vedono nella mossa di Trump un segnale di fermezza dopo l’omicidio di Charlie Kirk, l’attivista conservatore ucciso in circostanze apertamente riconducibili all’estremismo di sinistra. Alla cerimonia funebre, la vedova Erika Kirk ha scelto il linguaggio del perdono cristiano. Trump invece è pronto allo scontro perché se «la pistola era puntata a lui, il proiettile mirava a tutti noi».