
I ciclisti restano a piedi
Sanchez li incita, i pro Pal bloccano la Vuelta. Figuraccia mondiale della Spagna. La destra attacca: “Che vergogna”
Israele accusa: «Sanchez è una disgrazia per gli spagnoli». Abascal: «Incita il terrorismo di strada». Ayuso: «Ha arrecato un danno enorme al nostro Paese». Madrid travolta dalla violenza
L’ultima tappa della Vuelta a España non ha mai tagliato il traguardo. Non per pioggia, cadute o problemi tecnici, ma per una protesta politica, violenta, organizzata e, quel che è peggio, legittimata dalle più alte cariche dello Stato. Mentre centinaia di manifestanti filo-palestinesi invadevano le strade della capitale, lanciavano oggetti contro la polizia, abbattevano barriere e gridavano «Questa Vuelta la vince la Palestina», il premier Pedro Sanchez non trovava nulla di meglio da fare che dichiararsi «orgoglioso» delle proteste. Lo sport umiliato, la Spagna inchiodata al ridicolo internazionale, e la guida del governo ad aizzare la piazza come un capopopolo qualunque.
La Spagna ostaggio del fanatismo
Il caos è esploso nel cuore di Madrid, in una domenica che avrebbe dovuto concludere una delle corse ciclistiche più importanti del mondo. Ma il ciclismo è stato relegato al ruolo di comparsa. Gli attivisti hanno preso possesso del tracciato, costringendo gli atleti a fermarsi e a scendere dalle bici a 56 chilometri dall’arrivo. Scene inedite, surreali, figlie di un clima d’odio alimentato dall’esecutivo socialista, più attento a guadagnare consensi nelle piazze ideologizzate che a garantire la sicurezza pubblica e l’onore di una Nazione.
«Riconoscimento e pieno rispetto per gli atleti, ma anche ammirazione per un popolo come quello spagnolo che si mobilita per cause giuste, come la Palestina», ha dichiarato Sánchez da una kermesse del Psoe a Malaga. Il presidente del Consiglio di un Paese europeo non ha espresso cordoglio per l’umiliazione inflitta a una competizione storica, né ha condannato gli atti di violenza registrati nella capitale: ha espresso «ammirazione». Piena e convinta.
Israele accusa: “Una vergogna”
Così, il caso è diventato internazionale. Ed è arrivata la reazione del governo israeliano. Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri dello Stato ebraico, ha puntato il dito contro il premier spagnolo, definendolo «una disgrazia per la Spagna», colpevole di aver «incitato» le «orde pro-Pal» a bloccare la corsa. E ha rincarato la dose ricordando che «qualche giorno fa, il primo ministro spagnolo si è rammaricato di non avere una bomba atomica per fermare Israele». Una frase pronunciata da Sanchez e riportata da più fonti in settimana, che ora assume i contorni inquietanti di una strategia deliberata.
«Vergogna!», ha scritto Sa’ar su X.
“Sanchez è responsabile”
Dalla destra spagnola, le accuse sono state lapidarie. «Questo governo sta incitando e applaudendo il terrorismo di strada contro la polizia, contro i ciclisti e contro le famiglie, contro gli spagnoli», ha tuonato il leader di Vox Santiago Abascal. Anche Alberto Núñez Feijóo, a capo del Partido Popular, accusa il governo di aver «esposto la Spagna al ridicolo internazionale», lasciando che i suoi ministri «applaudissero comportamenti di disturbo che avrebbero invece dovuto condannare». La presidente della Comunidad de Madrid, Isabel Díaz Ayuso, ha parlato di un «enorme danno allo sport e al Paese», mentre il sindaco della capitale, José Luis Martínez-Almeida, ha scandito: «La violenza ha vinto sullo sport. Ritengo Sánchez responsabile. Madrid è stata travolta dalla violenza».
@elpais La escalada de violencia de los manifestantes en favor de Palestina obliga a la organización a suspender la última etapa a 43 kilómetros para la meta. Vingegaard, ganador sin ceremonia. #lavuelta #guerraengaza #manifestaciones #israel #palestina
Difficile dargli torto. Le immagini della polizia antisommossa caricata vicino alla Fontana di Cibeles, dei lanci di bottiglie nel Paseo del Prado, degli scontri nei pressi della stazione di Atocha non hanno nulla a che vedere con una manifestazione pacifica. Sono il frutto di settimane di messaggi ambigui, strizzatine d’occhio, silenzi compiacenti.
@telemadridoficial Caos en la Vuelta en Madrid: las protestas propalestinas obligan a cancelar la última etapa Se han producido cargas policiales en Atocha e invasión del recorrido en varios tramos del centro de la capital. #vueltaciclista #protestas
Yolanda Díaz: “Israele non può partecipare”
A rincarare la dose è intervenuta anche Yolanda Díaz, vicepremier e ministra del Lavoro, secondo cui «Israele non può partecipare ad alcun evento sportivo o culturale mentre continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza». E ancora: «La società spagnola ha dato una lezione al mondo».
Dichiarazioni gravissime, che rappresentano una rottura diplomatica implicita. Una vicepremier che celebra l’interruzione violenta di un evento sportivo internazionale e la definisce “una lezione al mondo”, mentre difende manifestanti che aggrediscono la polizia, paralizzano la mobilità urbana e impongono con la forza una narrazione univoca, fondata sul rifiuto di ogni confronto.
La Vuelta cancellata: a vincere la corsa è l’ideologia
La direzione della Vuelta ha alzato bandiera bianca alle 17:30, annunciando la modifica del percorso e poi la chiusura anticipata della gara. Jonas Vingegaard, il danese destinato a vincere, ha tagliato il traguardo virtuale senza festeggiamenti. La 21ª tappa da Alalpardo a Madrid — 103 chilometri — è stata stravolta. Nulla da fare: la pressione, le minacce, le interruzioni e l’occupazione del tracciato hanno avuto la meglio.
@teledeportertve Así ha sido la manifestación propalestina que ha obligado a suspender la última etapa de La Vuelta a 60 kilómetros de llegar a Madrid. #VueltaRTVE14S #LaVuelta25 #Palestina #Israel #deportesentiktok
Alcuni slogan urlati dai manifestanti parlano da soli: «Boicottare Israele», «Non è una guerra, è un genocidio», «Dove sono, non si vedono, le sanzioni per Israele?». Un’intera corsa è stata sacrificata sull’altare degli slogan.
Sánchez, nasconde gli scandali sotto il tappeto
Mentre il Paese affonda nella crisi sociale, tra inchieste giudiziarie che lambiscono i vertici del potere e una fiducia ai minimi storici, “Pedro il socialista” preferisce aizzare la rabbia, trasformando lo sport in arma di propaganda. «Non si fermerà finché non lo porteremo sul banco degli imputati insieme a sua moglie, suo fratello, il suo procuratore e i suoi compagni della mafia socialista», ha sentenziato Abascal.
Insomma, Sánchez si indigna selettivamente, a seconda della bandiera. E si rifiuta di guardare in faccia i problemi interni, preferendo agitarne altri lontani per nascondere il marcio sotto il tappeto.