
La guerra dei Roses
“Mi tolse il bancomat e mi lasciò senza soldi”: per la Corte fu violenza economica da parte del marito
Si fa presto a dire violenza. Tra le mura domestiche, oltre a quella “fisica”, esistono anche forme di violenza “morale”, “psicologica” ed “economica”, che vanno considerate “a tutti gli effetti violenza”. Si manifestano con “condotte persecutorie, aggressioni verbali, comportamenti tesi all’intimidazione, alla sopraffazione e alla umiliazione della coniuge”. E’ il principio riportato in una sentenza della Corte d’Appello civile di Milano che viene raccontato in un servizio dell’Ansa.
Addebito a carico di un marito
La sentenza ha confermato l’addebito della separazione a carico di un marito, il quale aveva messo in atto comportamenti “prevaricanti”; e anche “forme di controllo eccessivo e vessatorio nella gestione delle finanze domestiche” nei confronti della moglie. Fino ad arrivare addirittura a toglierle il bancomat per impedirle di avere dei soldi in tasca. La donna, assistita dall’avvocata Caterina Biafora – raccontano Igor Greganti e Francesca Brunati- nell’estate del 2019 era stata costretta a trasferirsi con i tre figli a casa dei suoi genitori.
E aveva chiesto aiuto anche “ad una associazione specializzata nel sostegno psicologico alle vittime di violenza domestica”, la ‘Bon’t worry’. La Corte milanese, in particolare la Sezione persone, minori e famiglia con i giudici Fabio Laurenzi, Paola Tanara e Federico Botta, nella sentenza depositata nei giorni scorsi, fa presente che comunque è “arduo” fornire le prove della “violenza psicologica ed economica”, data la sua “natura invisibile”. Perché il tutto avviene in un “contesto intimo”, domestico appunto, e non evidente “all’esterno del tetto coniugale”.
Atti di prevaricazioni verso moglie e figli
Gli stessi giudici, però, richiamando la più recente giurisprudenza, evidenziano in questo caso l’attendibilità delle dichiarazioni della donna “nel procedimento di separazione”. Parole che, tra l’altro, sono “confermate” da quelle da lei “rese in sede di procedimento penale”. Non ci sono “enfatizzazioni nel suo racconto”, scrive la Corte. Tanto che lei stessa ha voluto “precisare di non avere mai subito violenza fisica, delimitando coerentemente le condotte subite” in aggressioni verbali, “atti di prevaricazione”, condotte “economicamente violente e deprivanti” pure ai danni dei figli.
Il racconto: “Mio marito si è incattivito, ci ha lasciato senza soldi”
“Non so cosa sia scaturito in mio marito, si è incattivito – aveva raccontato la donna, già davanti ai giudici in primo grado -. Continuava a urlare anche con i bambini. Ci ha lasciato senza soldi. Mangiavamo tutti separati. I miei mi hanno aiutato, perché mio marito mi ha tolto il bancomat. Ha iniziato a urlare contro di me e contro i bambini”.
Minacce di morte
Il clima disegnato è infernale. Negli atti sono riportate una lunga serie di “minacce”, anche di morte, e “frasi di disprezzo”. I giudici hanno ritenuto, poi, che non fosse significativo “né ai fini della valutazione della prova, né ai fini civilistici della pronuncia di addebito della separazione, il fatto che” la Procura nel “procedimento penale non abbia richiesto la misura cautelare del divieto di avvicinamento o dell’allontanamento della casa familiare invocata” dalla donna che aveva presentato più denunce.
“Intollerabilità della convivenza”
Querele di cui, tra l’altro, come ricostruito nella sentenza, non si è saputo più nulla. Sulla base della giurisprudenza, ad ogni modo, scrivono i giudici, le reiterate violenze” anche “morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di separazione personale”, essendo “cause determinanti la intollerabilità della convivenza; ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore”.