
L'orso accerchiato
“L’Occidente è in guerra con noi”: la Russia alza i toni all’Onu ma il dissenso interno cresce e Putin avvia le “purghe”
Nel frattempo, Trump tratta con Erdogan: stop al petrolio russo in cambio degli F-35, mentre rallenta la pressione su Zelensky e si punta al logoramento economico di Mosca
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha scelto l’Assemblea generale dell’Onu per affermare senza più cautele che il conflitto in Ucraina è ormai uno scontro diretto tra Mosca e l’Occidente. «La Nato e l’Unione europea hanno già dichiarato una vera guerra al mio Paese e vi partecipano direttamente», ha dichiarato durante una conferenza ministeriale del G20 a margine del forum di New York. Non più un conflitto circoscritto, dunque, ma un confronto di sistema, secondo la narrativa del Cremlino.
Mosca al contrattacco diplomatico
Il capo della diplomazia russa, reduce dalla cerimonia con i delegati delle regioni occupate e il Nicaragua, ha anche alzato i toni anche con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, discutendo non solo dell’Ucraina ma anche del conflitto israelo-palestinese. Mosca ha richiamato l’articolo 100 della Carta delle Nazioni Unite per chiedere all’organizzazione «equidistanza e imparzialità», segnalando il timore di un Onu troppo condizionato dall’Occidente. Sul tavolo anche la riforma dell’organizzazione: per Lavrov ogni cambiamento deve restare sotto il controllo degli Stati membri, senza eccessi di autonomia del Segretariato.
La linea Trump tra Zelensky ed Erdogan
Mentre Lavrov parla di «guerra totale», Donald Trump modifica l’approccio. Dopo l’incontro con Volodymyr Zelensky ha ridotto la pressione per una soluzione immediata, preferendo una via diplomatica ma sempre in chiave transazionale. Ne è esempio l’intesa abbozzata con Ankara: la Turchia interromperebbe l’acquisto di petrolio russo in cambio della revoca delle sanzioni che bloccano l’accesso ai caccia F-35. Trump ha definito i colloqui con Erdogan «molto conclusivi», a conferma di una strategia americana orientata a logorare economicamente Mosca.
Pressione militare tra Baltico e Alaska
Sul piano militare la Russia continua a testare la prontezza della Nato. Bombardieri Tu-95 e caccia Su-35 sono stati intercettati nei pressi dell’Alaska, mentre tre MiG-31 hanno violato lo spazio aereo estone prima di essere scortati via da caccia italiani. Episodi sempre più frequenti che fanno parte della guerra psicologica condotta da Mosca. Nel frattempo la Danimarca ha chiuso più volte i propri aeroporti per l’avvistamento di droni, definiti dalla premier Mette Frederiksen «attacchi ibridi» riconducibili alla Russia.
Economia di guerra in affanno
Dietro la retorica, l’economia russa mostra però segnali di affanno. L’offensiva ucraina alle raffinerie hanno costretto il Cremlino a sospendere fino a fine anno le esportazioni di carburante. Le stazioni di servizio in diverse città, compresa Mosca, restano a secco. Per compensare, il governo ha aumentato l’Iva dal 20 al 22% e destinato alla difesa oltre il 40% del bilancio federale. Due terzi del Fondo nazionale di benessere sono stati già utilizzati. Persino la Sberbank ammette una stagnazione tecnica.
L’orso russo sotto pressione
La Nato, con il segretario generale Mark Rutte, evidenzia infatti la vulnerabilità del Cremlino a seguito dell’imposizione di dazi americani al 50% all’India. La pressione ha funzionato: Nuova Delhi ha evidentemente domandato spiegazioni all’amico Putin sulla strategia di guerra. «Narendra Modi chiede: ti ho sostenuto, ma potresti spiegarmi di nuovo questa strategia?», commenta Rutte alla Cnn. E quando Trump ha definito la Russia una «tigre di carta», il Cremlino ha reagito stizzito paragonandosi a un orso. Dettaglio che lo chief dell’Alleanza atlantica legge come insicurezza russa.
La variabile interna
Trump ipotizza perfino una rivolta popolare in Russia, ma gli analisti restano cauti. La società russa ha già dimostrato capacità di resistenza e, con il dissenso ridotto al silenzio, lo scenario di una destabilizzazione interna appare remoto. «I russi possono vivere con crescita zero», osserva tuttavia l’economista Vladislav Inozemtsev sul The Guardian. «Hanno vissuto lunghi periodi di redditi in calo senza costi politici per Putin. In Occidente, la crescita zero scatena il panico. In Russia, è semplicemente normale».
Cadono teste fra l’élite russa
Eppure, a tutto questo si sommano ora le purghe interne. Cade infatti un altro nome di peso: Viktor Momotov, presidente del Consiglio dei giudici russo dal 2016 e membro della Corte suprema, è stato travolto da accuse di legami d’affari con ambienti criminali e interessi in una catena di alberghi. Definito da osservatori russi il «Watergate di Mosca», il caso Momotov ha portato in poche ore alla sua estromissione e alla nomina del procuratore generale Igor Krasnov alla guida della Corte suprema. L’inchiesta si accompagna alla confisca di decine di proprietà e conferma l’idea dello zar: colpire anche figure fino a ieri intoccabili dell’apparato giudiziario, in una ridefinizione forzata degli equilibri interni.