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La Flotilla raccontata dalla sua portavoce italiana: politica, ideologia e quel “sì, ma” sul 7 ottobre
Maria Elena Delia, che rappresenta la delegazione italiana del Global Movement to Gaza, spiega le ragioni del no all'appello di Mattarella. E, nel farlo, conferma tutto quello che c'è da sapere sulla missione e sulle reali motivazioni
L’intento tutto politico; il giustificazionismo sul 7 ottobre che, però, «per carità», non si pensi che è così; l’affermazione per cui “due popoli, due Stati” «non funzionerebbe», quindi meglio «un unico Stato», di cui non si specifica la natura, ma, insomma, viene facile ricollegarlo allo slogan «dal fiume al mare», con tutte le sue implicazioni. Non che servisse l’intervista a Maria Elena Delia, la portavoce della delegazione italiana del Global Movement to Gaza, per avere contezza delle motivazioni e dell’ideologia che muovono la Flotilla. Ma per lo meno il colloquio che l’insegnante 55enne di Torino ha avuto con il Corriere della Sera ha il vantaggio di mettere in fila le enormi criticità a monte dell’operazione, che poi sono la causa di quelle a valle. E di farlo con la voce di chi la rappresenta, dunque sgombrando il campo dalle accuse di propaganda avversa.
La portavoce della Flotilla in viaggio verso Roma
Delia è stata raggiunta telefonicamente da Monica Ricci Sargentini subito dopo la decisione del direttivo della Flotilla di mandarla a Roma, «per portare avanti il dialogo con le istituzioni», a seguito dell’appello lanciato dal presidente Sergio Mattarella affinché i naviganti giungano a più miti consigli, accettando di affidare il loro carico di aiuti umanitari al Patriarcato di Gerusalemme. Appello respinto, almeno per ora. Perché, alla fine, gli aiuti alla popolazione non sono il vero punto della questione, come si era ampiamente capito e come la stessa Delia conferma.
Il no a Mattarella e il «punto centrale» della navigazione verso Gaza
«Abbiamo apprezzato le parole del capo dello Stato e ne abbiamo colto l’emotività. Ma ci è sembrato che accettare spostasse l’attenzione dal punto centrale. Noi siamo dispostissimi a trovare un corridoio umanitario, che vorremmo fosse permanente, però questo non può essere un’alternativa a poter percorrere liberamente delle acque internazionali. Stiamo cercando di mettere in evidenza una stortura», chiarisce la portavoce della Flotilla, rispondendo alla domanda sul no a Mattarella.
E, ancora, «non c’è nessuna volontà di andare a farsi male per forza. Noi chiediamo ai governi: è possibile dire ad Israele guardate che se attaccherete quelle barche in acque internazionali noi vi daremo delle sanzioni? Possiamo ragionare sulla possibilità che l’Italia metta un embargo sulle armi o rinunci ad alcuni accordi commerciali. Non c’è una chiusura cieca. Siamo assolutamente aperti a delle trattative concrete».
«Ci sono tante possibilità», ma finora hanno rifiutato tutte quelle offerte
Delia porta come esempio di trattativa concreta il fatto che «Israele potrebbe garantire che una volta al mese si apra un corridoio navale affinché le navi dell’Onu, non quelle della Flotilla, possano portare via mare degli aiuti. Ci sono tante possibilità ma bisogna fare qualcosa in più rispetto a chiedere a noi di non andare a Gaza». Ci sarebbe il “piccolo dettaglio” che canali istituzionali per far arrivare gli aiuti a Gaza ci sono e, sebbene nelle mille difficoltà della situazione, riescono nell’intento. In particolare, “Food for Gaza”, la missione internazionale lanciata dall’Italia, che aggrega agenzie come la Fao, il Pam e la Federazione Internazionale della Croce e della Mezzaluna Rossa, ha destinato 200 tonnellate di aiuti alla popolazione palestinese e li sta facendo arrivare tramite tutti i canali possibili, dalla terra al lancio aereo, grazie all’azione diplomatica con Israele e la collaborazione con Paesi come Egitto e Giordania. Il governo italiano ha offerto questi canali alla Flotilla, prima ancora che si arrivasse alla mediazione del Patriarcato, ma loro hanno rifiutato anche quelli.
Il 7 ottobre? “Sì, ma…”. Però, «per carità», non è giustificazionismo
Si torna sempre al punto di partenza: il tema non sono gli aiuti. Il tema è tutto politico, e ideologico. Alla domanda su quale sia la richiesta al governo, Deli ha risposto che «vorremo che ci ascoltassero un po’ di più, magari così capirebbero che non siamo dei provocatori ma stiamo cercando di un puntare un faro sul genocidio che è in atto da due anni a questa parte. Noi nasciamo da questo».
È però quando si entra nel merito delle ragioni della smisurata tragedia di cui i palestinesi sono vittime, che la maschera viene giù del tutto. La cronista del Corriere ricorda a Delia che «tutto parte» dal massacro e dai rapimenti compiuti da Hamas il 7 ottobre. La portavoce italiana della Flotilla ribatte dicendo che «sicuramente, però, due anni di sterminio mi sembrano una reazione esagerata. Dopodiché nessuno vuole la morte di nessuno, ma è un fatto che il 7 ottobre si colloca in una storia di quasi 80 anni di occupazione. Non lo sto giustificando, per carità, sto dicendo che in quella terra la situazione è la più complicata del mondo». Dunque, «per carità», le sue parole non si leggano come giustificazionismo.
No anche a “due popoli, due Stati”
Ciò detto, che ne pensa Delia della soluzione due popoli, due Stati? «Non posso parlare a nome di tutto il movimento perché ci sono sensibilità diverse. Personalmente – chiarisce – non sono d’accordo perché ritengo che nella pratica non funzionerebbe. Bisognerebbe che ci fosse un unico Stato dove tutti i cittadini possano vivere con uguali diritti e doveri». Ora, Delia non spiega quale dovrebbe essere questo unico Stato. Bisogna quindi allargare lo sguardo alla visione Pro Pal per leggere il riferimento. Il rimando immediato che fa venire in mente è allo slogan “dal fiume al mare”, quasi sempre preceduto da “Palestina libera”. Si tratta di uno slogan così controverso da essere da anni oggetto di approfondite analisi su quale sia il suo significato profondo, perché per molti non implica solo la cancellazione dello Stato di Israele, ma l’allontanamento degli ebrei da quelle terre. Ma, «per carità», non leggiamola così.