
Nei meandri dell'orrore
Tra sfregio e viltà: il branco digitale e la fragilità maschile dietro il caso “Mia moglie”… e le bassezze che evoca
Anatomia di un fenomeno esploso in rete: "Il web offre ai cosiddetti “leoni da tastiera” una corazza che nella vita reale non avrebbero. Protetti dallo schermo, trovano il coraggio di esprimere pulsioni basse, parole violente, fantasie degradanti. E quando l’individuo si fonde nel gruppo, la sensazione di anonimato diventa forza"
Il gruppo Facebook “Mia moglie” è stato chiuso dopo alcune segnalazioni. Vi partecipavano mariti che pubblicavano immagini delle proprie consorti, ritratte a loro insaputa, e invitavano altri uomini a commentarne il corpo e a esprimere fantasie a sfondo sessuale. Una vetrina dell’intimità femminile senza consenso, un “gioco” che gioco non può essere. Il fenomeno ha richiamato alla memoria casi più drammatici, come quello di Gisele Pelicot, la donna francese narcotizzata dal marito e violentata per anni da decine di uomini. Storie diverse, accomunate però dall’inconsapevolezza delle vittime.
“Mia moglie”, anatomia di un fenomeno inquietante
La vicenda “Mia moglie” non è solo esecrabile dal punto di vista etico, ma integra il reato previsto e punito dall’art. 612 ter del codice penale che sanziona la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite senza consenso. Un reato che il legislatore ha introdotto proprio perché la rete, da strumento di comunicazione, si è trasformata in luogo privilegiato per la mercificazione del corpo altrui.
Un gruppo aperto, e senza scrupoli: il branco digitale funziona come quello reale
Il web offre ai cosiddetti “leoni da tastiera” una corazza che nella vita reale non avrebbero. Protetti dallo schermo, trovano il coraggio di esprimere pulsioni basse, parole violente, fantasie degradanti. E quando l’individuo si fonde nel gruppo, la sensazione di anonimato diventa forza: il branco digitale funziona come quello reale, unisce e moltiplica. Il gruppo Facebook “ Mia moglie “ era aperto, accessibile a chiunque, a dimostrazione che i partecipanti non si sentivano colpevoli, anzi: l’approvazione reciproca li assolveva in anticipo da tutti gli scrupoli, qualora li avessero avuti.
Un’alienazione che cambia pelle (e piattaforme social all’occorrenza)
Il gruppo su Facebook è stato chiuso, ma è riapparso subito su Telegram, segno che non basta eliminare una pagina per estirpare il problema. Il fenomeno si sposta, cambia pelle ma continua a scorrere come un fiume. Possiamo chiederci quanti altri gruppi simili esistono sui social e se altri stanno già proliferando. Ma la vera domanda è: perché? Perché un uomo dovrebbe esporre la propria moglie al pubblico ludibrio? È desiderio di esibizione, come chi mostra un trofeo? È bisogno di sentirsi invidiato? O è una forma di insicurezza, un modo per colmare la propria fragilità ottenendo conferme dall’esterno?
Il gruppo social “Mia moglie”, una ulteriore manifestazione di fragilità maschile
Forse è tutto questo ma è soprattutto l’ennesima manifestazione della fragilità che spesso affligge l’uomo contemporaneo. Le donne attraverso dure battaglie sociali per i loro diritti hanno acquisito forza e consapevolezza. A questo percorso non sempre ha fatto seguito parallelamente un analogo processo nel mondo maschile. Di fronte a donne sempre più autonome, realizzate e consapevoli del proprio valore, alcuni uomini reagiscono con insicurezza. E quell’insicurezza si traduce in aggressività prevaricazione, violenza.
Una violenza sulle donne che nasce dalla debolezza
La violenza sulle donne nasce qui: non dalla forza, ma dalla debolezza. È il sintomo di un mondo maschile fragile che ha paura del l’uguaglianza e quindi degrada, umilia, colpisce, avvalendosi anche del mezzo più potente e invasivo del nostro tempo: i social network. “Mia moglie” non è una goliardata. È il segnale di un problema culturale dei nostri tempi. E la repressione penale non basta: occorrono anche educazione, consapevolezza, rispetto della differenza tra uomini e donne che non va vista come un pericolo, ma come un valore.
La vera domanda da porsi oggi non è se riusciremo a individuare e punire gruppi social come “ Mia Moglie”. Ma se riusciremo a eradicarne il presupposto, a evitare che nascano e si trasformino nell’ennesima palestra di sopraffazione.
*Senatrice Susanna Donatella Campione, Componente commissione giustizia e commissione bicamerale contro il femminicidio