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Quella borghesia “patriottica” che fece da argine alla violenza del Biennio Rosso

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Quella borghesia “patriottica” che fece da argine alla violenza del Biennio Rosso

Il saggio di Cristian Leone ricostruisce la mobilitazione apolitica delle leghe patriottiche e antibolsceviche nate per contrastare sul campo le violenze di chi guardava con fervore alla concomitante esperienza leninista in Russia

Senza categoria - di Fernando Massimo Adonia - 10 Agosto 2025 alle 10:31

Un lavoro di cucitura certosina, destinato a colmare «una lacuna storiografica» che oramai si fa fatica a sopportare. I movimenti nazional-patriottici alle origini del fascismo (1919-1920) di Cristian Leone per i tipi di Rubbettino aggiunge un tassello in più per la comprensione di una delle vicende più significative del Novecento italiano ed europeo. Qual è il retroterra sociale che ha consentito al movimento di Benito Mussolini di svilupparsi fino agli esiti che tutti conosciamo? Su quale legno si è innestato il fascismo, virando a destra e convincendo quindi quella borghesia patriottica che aveva le radici nel terreno liberale?

Leone è in grado, scavando nei gli archivi e interrogando la letteratura secondaria, di darci delle risposte su di un periodo tanto decisivo quanto trascurato per le sorti della Nazione. «Se nel primo dopoguerra non si tengono in considerazione e non si collegano la fase pre rivoluzionaria del Biennio Rosso con la volontà di difendere il portato della Vittoria, messo in discussione dal fallimento delle trattative di Versailles e dall’azione socialista, si rischia di non comprendere le ragioni profonde dell’ascesa del fascismo e della convergenza della borghesia patriottica e del suo associazionismo con il movimento mussoliniano». L’avvertimento è di Andrea Ungari, autore della prefazione e neo presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, nomina accettata facendosi carico dell’importante eredità progettuale dello storico Giuseppe Parlato, scomparso il 2 giugno scorso. «E Leone – insiste Ungari – riesce a cogliere in maniera perspicace tale nesso, ricostruendo momenti e personaggi in questo periodo di crisi dello Stato liberale».

Si tratta di un racconto accurato, quello di Leone, che ricostruisce la mobilitazione apolitica delle leghe patriottiche e antibolsceviche, nate per contrastare sul campo le violenze di chi guardava con fervore alla concomitante esperienza leninista in Russia. Un fenomeno che però non ha a che fare le premesse ideologiche dell’offensiva squadrista e le sue tecniche militari. Non a caso, il testo si ferma al 1920, quando l’iniziativa dei ras dilagherà in Emilia, in Romagna e in Toscana.

All’interno della galassia di associazioni e sigle indagata da Leone troviamo di tutto: uomini di destra e di sinistra, monarchici e repubblicani, massoni e cattolici, liberali, socialisti e nazionalisti: «tutti intenti a compiere un’opera di alfabetizzazione politica intorno all’idea di patria incarnata nella figura del sovrano». Una mobilitazione in armi che crescerà pian piano, ma che fornirà al tatticismo spinto del futuro duce informazioni utilissime sul ceto medio italiano e sulla necessità di dismettere quanto prima le velleità sinistrorse in vista della conquista del potere politico. Una «zona d’ombra», insomma, che meritava di essere indagata attraverso un saggio dalla forte impalcatura scientifica. Questo perché, senza un’accurata conoscenza di questo passaggio storico, la comprensione tout court del fascismo di rischia essere o incompleta o – peggio ancora – errata, con tutto ciò che ne può conseguire anche nel tempo presente.

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di Fernando Massimo Adonia - 10 Agosto 2025