
Altro che resa
Musk frena sul terzo partito, perché punta tutto su J.D. Vance. Chi a sinistra grida al “pazzo” non ha capito il gioco
Il Wall Street Journal rivela lo stop all’America Party come terzo polo: Musk sospende il progetto politico, taglia i legami con figure minori, riallaccia con il partito e prepara un maxi sostegno a J.D. Vance in vista del 2028
C’è chi parla di resa. Di abbandono. Di sogno infranto. Ma quando Elon Musk rallenta, non è mai per ritirarsi. È per prendere la rincorsa. Il Wall Street Journal riporta che il fondatore di Tesla e SpaceX avrebbe messo in stand-by il suo progetto politico, l’America Party. E la stampa liberal esulta. Sospiri di sollievo, titoloni e brindisi alla disfatta dell’ennesimo magnate pazzo con sogni, da loro, bollati come populisti. Ma la politica americana si deve leggere fra le righe, i silenzi calcolati, gli assegni non ancora firmati.
Il passo indietro che serve a prendere la rincorsa
Secondo le fonti del Wall Street Journal, Musk avrebbe fermato i suoi team politici, annullato incontri, preso le distanze da figure minori come Andrew Yang e Mark Cuban. Una ritirata tattica. O forse ben studiata dall’inizio. Nessuno dei suoi gesti ha infatti il sapore dell’improvvisazione. Non è il comportamento di un folle egocentrico che si arrende alla realtà, come piace raccontare alla sinistra. È la mossa di un giocatore che sa di non dover bruciare il tavolo prima che venga servita la mano giusta.
Musk rallenta per concentrarsi sulle sue aziende, scrive la testata americana. Ma anche questo è un messaggio. Come dire: il re è ancora sul campo, ma si è spostato sulla diagonale. E non ha mai smesso di parlare con il vicepresidente J.D. Vance. Anzi, avrebbe fatto sapere a persone vicine a quest’ultimo che è pronto a finanziare la sua corsa presidenziale nel 2028, con centinaia di milioni di dollari.
Il re è vivo, si è solo travestito da kingmaker
L’America Party? Non è morto, dunque. È diventato, semmai, un’idea-laboratorio. Una minaccia o una leva da usare nei corridoi della Casa Bianca, non nei comizi. Musk sa bene quanto costi e quanto sia sterile, negli Stati Uniti, fondare un terzo partito. Ogni Stato con le sue regole, i suoi moduli, le sue raccolte firme. Lo stesso nome “America Party” potrebbe incontrare ostacoli legali in città come New York, ricordano le fonti.
Ecco perché il patron di Tesla rientra tra le file e si muove dall’interno. Ha già investito nel 2024 circa 300 milioni di dollari nel Gop tramite l’America Pac. E ora sembra pronto a puntare tutto su Vance. Lo stesso Vance che, all’indomani della disputa pubblica tra Musk e Trump sui tagli fiscali lanciò un appello alla tregua e questo mese lo “esorta” pubblicamente a tornare all’ovile.
Ma non era un rimprovero. Era un messaggio diretto a qualcun altro, al partito stesso. Quasi a dire: “Abbiamo del lavoro da fare qui. Il compromesso tra le due anime della destra Usa, quella Maga e quella repubblicana, è possibile, tu ora torna indietro“.
Una convergenza scritta da tempo
Per chi conosce la biografia di Mr. X e quella del vicepresidente, il disegno era già lì, molto prima che la stampa iniziasse a ipotizzarlo. I due condividono “orbitanti” simili: da Palmer Luckey a Steven Davis, fino a Peter Thiel — il mentore che ha sostenuto entrambi. Vance, che fino a qualche anno fa si diceva scettico sul tycoon, è oggi il primo a guardare al dopo-Trump. E Musk, che cerca un veicolo più affidabile per i suoi progetti, ha trovato il suo investimento per il futuro.
Meno palco, più potere
Nel frattempo, mentre la sinistra sentenzia il tramonto dell’era muskiana, l’uomo dei razzi ha già versato altri 15 milioni di dollari nelle casse repubblicane, ha espresso pubblicamente il proprio sostegno a Vance e ha appoggiato misure simboliche come la federalizzazione della polizia di Washington D.C. Non è più il ribelle che rifiuta la liturgia del potere. È il sacerdote che vuole riscrivere la liturgia.