
Dodici anni senza il Califfo
L’ultimo regalo di Califano, perché se “tutto il resto è noia”, il suo mito e la sua storia rivivono al cinema. Ecco il trailer
Una leggenda che non muore: la storia del cantautore torna sul grande schermo a oltre dieci anni dalla sua scomparsa in un docufilm in uscita nelle sale italiane dall’8 al 10 settembre, presentato alla Festa di Roma. Un racconto corale attraverso la testimonianza di amici e colleghi dell'uomo, del personaggio, dell'artista e della sua Roma
Dodici anni senza Franco Califano, il cantautore, l’uomo tutto genio e sregolatezza che sulla sua epigrafe avrebbe potuto scrivere una delle sue celebri frasi: «Sono sempre andato a letto cinque minuti più tardi degli altri, per avere cinque minuti in più da raccontare». Lui, che invece sulla sua lapide, nel cimitero di Ardea, ha lasciato disposizione perché si incidesse: «Non escludo il ritorno». Una frase, che è anche il titolo di un suo album, che riflette il suo atteggiamento nei confronti della morte, vissuta come una pausa, non come una fine definitiva (tanto che sull’epigrafe non è presente la data di morte, ma solo la scritta “il Maestro”). E lui che torna, oggi più che mai, come se non se ne fosse mai andato veramente.
Franco Califano non si “esclude il ritorno”, anzi…
Tanto che, a oltre dieci anni dalla sua scomparsa, il mitico Califfo torna a rivivere sul grande schermo con il docufilm Franco Califano. Nun ve trattengo, in uscita nelle sale italiane dall’8 al 10 settembre, distribuito da Europictures. Scritto e diretto da Francesca Romana Massaro e Francesco Antonio Mondini, il film è un viaggio intimo e lunare nella Roma amata da Califano, in cui l’artista spazia tra ricordi, materiali d’archivio inediti e testimonianze sincere. Presentato in anteprima alla ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, il docufilm che ricostruisce per tessere il mosaico della vita e della carriera dell’artista, ci restituisce del Califfo un ritratto autentico e senza filtri.
La sua storia rivive in un docufilm in uscita a settembre
Forte del ricordo e del racconto affettuoso dei tanti “amici” e colleghi che lo omaggiano nel documentario: Claudia Gerini, Maurizio Mattioli, Mita Medici, Alberto Laurenti, Enrico Giaretta, Antonio Mazzeo, Federico Zampaglione. E anche artisti della nuova scena come Franco126, Ketama126 e Noyz Narcos. E sempre, sullo sfondo, quella Roma con cui Califano ha avuto fino alla fine un legame dalle radici profonde. Una città che ha fatto da scenografia ai suoi successi e da set di una vita che lo ha visto protagonista della scena, ora playboy incallito, ora poeta romantico, un po’ poeta e mascalzone quanto basta, capace come pochi altri di raccontare in musica e canzoni i suoi vizi e le sue debolezze.
Il Califfo, un artista che ha vissuto rumorosamente e se ne è andato in silenzio
Perché senza le sue provocazioni, senza il suo estro, la sua sensibilità nascosta tra le righe di un personaggio ruvido che ha vissuto rumorosamente e se n’è andato in silenzio, in punta di piedi, spegnendosi nella sua casa di Acilia, Aventino forzato dai problemi economici in cui si era rifugiato negli ultimi anni, abbandonando la sua Roma, niente è più come prima…
Una vita tra genio e sregolatezza, vicissitudini giudiziarie e successi
Un enigma irresistibilmente controverso, il Califfo, protagonista di una vita da romanzo che, tra colpi di scena e capitoli giudiziari che lo hanno visto protagonista di vicende di droga, culminate nel primo arresto nel 1970 – coinvolto con Walter Chiari (poi assolto) –. E poi, ancora, nel 1983, nuovamente accusato di possesso di stupefacenti e in questo caso anche di armi, e inserito a diverso titolo nella vicenda che travolse ingiustamente anche Enzo Tortora (assolto dopo anni di malagiustizia con formula piena). Lui, che dopo una vita di ingiustizie e di mancati riconoscimenti, il 14 settembre 2008, nel giorno del suo settantesimo compleanno, e in occasione del concerto a Piazza Navona, tornò a dire: «Io sono liberale, anticomunista… Per 5 anni mi hanno impedito di cantare perché mi hanno bollato (negativamente, ça va sans dire) come uno di destra».
Franco Califano, in bilico tra iperboli e oblio, palco e periferia
Sì, perché tornare a cantare in qualche piazza di Roma era il suo sogno ricorrente negli ultimi anni. Una Roma, palcoscenico a scena aperta di concerti, spettacoli, e persino di una lezione alla Sapienza nel 2001, dove era stato invitato per parlare dei testi dirompenti delle sue canzoni, e anche di un tour nelle carceri del Lazio, grazie ad un’iniziativa della Regione di cui lui era molto soddisfatto. E allora, quella romanità spesso sinonimo di tracotanza bonaria. Quel suo fascino gaglioffo unito a un temperamento spericolato, nel tempo hanno accreditato dell’artista l’irresistibile maschera del “macho” irriverente e indomito, chiamata a nascondere un animo vulnerabile.
La sua firma sui successi di sempre
Una sensibilità, la sua, rinnegata sotto quel panama bianco e nascosta dietro quel sigaro in bocca che dalla copertina di uno dei suoi tanti successi ostentavano spregiudicatezza da latin lover, e tradotta in tanti indimenticabili canzoni cantate da lui, o regalate a Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni. E allora, non solo Tutto il resto è noia, ma anche Minuetto, La musica è finita, E la chiamano estate, Una ragione di più. Accanto a La vacanza di fine settimana e a Io non piango, diventano il manifesto esistenziale di un autore e di un interprete a metà tra mondanità e solitudine, palco e periferia. Indecifrabile quanto genuino.
E un irrefrenabile amore per la canzone
E sempre e comunque capace di raccontare l’amore più alto e il fondo toccato in tante storie alla deriva. Di cantare una vita punteggiata da eccessi che, tra ricchezza e difficoltà economica, vocazione alla trasgressione e insofferenza per le convenzioni, ha alimentato il mito dello chansonnier maledetto che non si è risparmiato neppure l’esperienza del carcere: anche quella sublimata in musica grazie all’album Impronte digitali. Un irrefrenabile amore per la canzone, quello di Califano, che non ha abdicato nemmeno alla vecchiaia e alla malattia. «Comincerò ad invecchiare cinque minuti prima di morire» disse una volta. E così è stato.
Sotto, il trailer del docufilm da Youtube