
Altro che crisi
In Italia il fatturato vola: nel 2025 le imprese tirano dritto e salutano i debiti. I profeti “sinistri” cambino copione
Il rapporto dell’Osservatorio Bilanci della Fondazione nazionale dei commercialisti fotografa un sistema imprenditoriale solido: più utili per l’85% delle imprese, ricavi a +5,4% e un Sud in rimonta
Il fatturato delle società di capitali italiane tornerà a salire nel 2025. Dopo il +3,2% del 2023 e il +4,8% previsto per quest’anno, le proiezioni indicano un incremento del +5,4% nel 2025. È quanto emerge dall’Osservatorio bilanci delle società di capitali curato dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, che rappresenta un’analisi su circa 600 mila società italiane con fatturato tra i 100 mila e il miliardo di euro.
Il trend, riportato dal Messaggero, benché più contenuto rispetto al rimbalzo esplosivo del biennio post-Covid – +25,5% nel 2021 e +26,1% nel 2022 – testimonia un ritorno a dinamiche di crescita più regolari, sostenute da fondamenta patrimoniali più solide e da un lieve ridimensionamento del debito.
Più capitali, meno debiti
Il sistema imprenditoriale, pur dovendo fare i conti con la normalizzazione dei margini, mostra segnali robusti. Il grado di patrimonializzazione è aumentato dal 43,9% al 45,4%, mentre il grado di indebitamento si è ridotto, passando dal 49,6% al 48,5%. Il numero di imprese che chiudono il bilancio in utile è passato addirittura dall’83,8%, al’85%.
A crescere sono anche gli oneri finanziari, che in rapporto al fatturato passano dallo 0,9 all’1,5%, e in rapporto al Mol (Margine operativo lordo) dall’11,5 al 16,5%. Un incremento che riflette l’andamento dei tassi d’interesse ma che non compromette la tenuta complessiva del sistema.
Il Mol, infatti, pur crescendo meno rispetto al biennio precedente, segna comunque un solido +8,9%, confermando che l’ossatura delle imprese regge anche in un contesto meno drogato dalle dinamiche post-pandemiche.
Il Mezzogiorno sorprende
Sorprende la performance del Sud. Nel 2023, i ricavi delle società di capitali meridionali sono cresciuti dell’8,8%, più del doppio rispetto alla media nazionale. Una performance che stacca nettamente il Nord-Ovest (+1,6%) e il Nord-Est (+2,2%), e che supera anche il Centro (+4,1%). Segno che, al di là delle retoriche sinistre, alcune realtà del Mezzogiorno stanno riuscendo a reagire.
Le dimensioni contano
I dati confermano che le società di medie dimensioni sono oggi le più forti. Quelle con fatturato tra i 5 e i 20 milioni di euro risultano in utile nel 91,4% dei casi; percentuale simile (90,8%) per le imprese tra i 20 e i 50 milioni. Le più piccole (da 100 mila a 5 milioni) si fermano all’84,2%, mentre le grandi aziende (oltre i 50 milioni) raggiungono l’88,8%.
Una dinamica che suggerisce come la taglia media, troppo spesso trascurata nelle politiche industriali, rappresenti oggi un punto d’equilibrio tra flessibilità, resilienza e capacità di generare profitto.
La lente sui settori
Quanto ai settori, il comparto costruzioni registra la percentuale più alta di società in utile: l’89,5%. Seguono le riparazioni meccaniche e macchinari (88,9%). In termini di patrimonializzazione, primeggia il settore immobiliare (65,3%), seguito da lotterie e gioco (53,9%) e ristoranti e alberghi (51,3%).
Oltre le cifre, un sistema che tiene
Il quadro, pur con qualche ombra – come l’aumento dei debiti tributari, cresciuti del 6,6% complessivamente – resta positivo. Il dato si scompone in un +4,9% nei debiti entro l’esercizio e un +21% oltre l’esercizio, segno di un’accresciuta esposizione fiscale che però non intacca la traiettoria di stabilizzazione.
A fare da cornice, c’è l’incognita dazi americani. Secondo le stime, nel caso di un’imposizione al 15%, si potrebbe registrare una perdita di 22,5 miliardi di fatturato, tuttavia pari al solo 0,5% del giro d’affari complessivo.