
L'analisi
Guerre e dazi non sono un problema per i mercati: il mix di fattori che fa crescere le Borse
Parla l'economista, sono tre i fattori trainanti: l’effetto di riconfigurazione settoriale, il dominio delle big tech e le politiche monetarie accomodanti con una crescita reale moderata ma stabile
Riceviamo e pubblichiamo.
Nel biennio 2024–2025, i principali mercati finanziari internazionali, in particolare quelli statunitensi ed europei, hanno registrato una crescita robusta, spesso controintuitiva rispetto al contesto geopolitico globale segnato da instabilità, due guerre aperte (il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente) e un ritorno al protezionismo commerciale, soprattutto nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina.
Dazi, guerre e incertezza non fanno paura ai mercati
Questo fenomeno ha suscitato interrogativi legittimi tra analisti e investitori: perché le Borse continuano a salire, nonostante uno scenario macroeconomico sfavorevole? L’analisi più accreditata individua tre fattori principali che spiegano la resilienza dei mercati: primo, l’effetto di riconfigurazione settoriale indotto dalle guerre e dall’espansione della spesa pubblica; secondo, il ruolo predominante delle aziende tecnologiche ad alta capitalizzazione; terzo, l’orientamento accomodante delle banche centrali e una crescita reale moderata ma stabile.
La convinzione secondo cui “ai mercati piace la guerra” non va intesa in senso letterale o moralistico, ma come osservazione empirica di una dinamica: storicamente, le fasi di conflitto tendono a generare iniziali ribassi azionari per effetto dello shock di incertezza, seguiti spesso da recuperi e addirittura accelerazioni degli indici.
Le guerre spingono la spesa pubblica e i settori strategici
Questo fenomeno, noto in letteratura come war puzzle, è stato studiato in più cicli storici e si spiega principalmente attraverso l’incremento della spesa pubblica, in particolare nei comparti difesa, infrastrutture e sicurezza energetica. Le guerre, inoltre, creano riallocazioni settoriali: in Europa, ad esempio, il comparto industriale legato alla difesa ha tratto grande beneficio dall’aumento delle commesse pubbliche. Aziende come Rheinmetall in Germania, Leonardo in Italia e Thales in Francia hanno registrato incrementi a doppia cifra nei ricavi e nei prezzi delle azioni tra il 2023 e il 2025.
Un impatto simile si è avuto nel settore energetico e delle materie prime, per effetto dell’instabilità nei flussi di approvvigionamento e della conseguente rivalutazione degli asset strategici. Questo tipo di dinamiche ha effetti tangibili sugli indici, che beneficiano della performance positiva di tali settori anche in contesti di crisi geopolitica.
Big tech e semiconduttori trainano gli indici
A rafforzare ulteriormente i mercati è intervenuto, dal 2024, il dominio crescente delle aziende tecnologiche, in particolare delle cosiddette “Magnificent Seven” (Apple, Microsoft, Nvidia, Amazon, Alphabet, Meta, Tesla). Questi titoli hanno rappresentato oltre il 30% della capitalizzazione dell’S&P 500 a fine 2024 (Barron’s, giugno 2025), dimostrando una capacità unica di generare crescita degli utili anche in contesti macroeconomici incerti.
In particolare, Nvidia ha consolidato la sua posizione di leader nella fornitura di infrastrutture per l’intelligenza artificiale, spinta dalla crescente adozione dell’Ai generativa nei settori industriale, sanitario e militare. Il ruolo delle big tech è stato così centrale che, nel 2024, l’indice S&P 500 “equal-weighted” (in cui ogni titolo ha lo stesso peso) ha sottoperformato rispetto alla versione market-cap-weighted, confermando la concentrazione dei rendimenti su pochi titoli.
Questo fenomeno non è limitato agli Stati Uniti: anche in Europa, aziende come Asml, Stm icroelectronics e Infineon hanno beneficiato della domanda crescente di semiconduttori e delle politiche industriali europee per l’autonomia tecnologica. L’ottimismo dei mercati verso questi settori ha compensato in parte le incertezze derivanti dalle tensioni commerciali e dall’instabilità politica.
Politiche monetarie più accomodanti
Il terzo pilastro della resilienza dei mercati è stato rappresentato dall’evoluzione della politica monetaria e dalla tenuta dell’economia reale. Dopo una fase di politiche restrittive nel 2022–2023 per contrastare l’inflazione post-pandemica e post-energetica, le banche centrali hanno iniziato un ciclo di allentamento monetario, favorito dal rallentamento dell’inflazione
La Banca centrale europea ha ridotto il tasso sui depositi al 2,0% nel giugno 2025 (Ecb, Economic Bulletin, luglio 2025) e ha lasciato intendere un possibile proseguimento della politica accomodante nel corso del 2026. Anche la Federal Reserve, pur mantenendo un atteggiamento più prudente, ha attenuato il ciclo restrittivo.
La crescita reale dell’area euro
Questi interventi hanno ridotto il costo del capitale, aumentato la liquidità disponibile e migliorato le condizioni di credito, sostenendo la propensione al rischio da parte degli investitori. Sul fronte macroeconomico, l’area euro ha mostrato una crescita reale dello 0,7% nel 2024 e le stime per il 2025 si attestano allo 0,9%, con una previsione di crescita dell’1,2% per il 2026 secondo le proiezioni della Bce (giugno 2025).
Rallentare l’economia senza recessione
Negli Stati Uniti, la crescita del Pil è stata più robusta, intorno al 2,1% nel 2024, sostenuta da consumi resilienti, forte spesa pubblica e investimenti in infrastrutture digitali (Us Bureau of Economic Analysis, luglio 2025). Il rallentamento dell’inflazione, combinato con una crescita moderata e stabile, ha alimentato nei mercati l’aspettativa di un “soft landing”, ovvero un rallentamento dell’economia senza recessione, scenario considerato particolarmente favorevole per gli asset rischiosi come le azioni.
Questo equilibrio tra liquidità in aumento, costi del denaro in calo e fondamentali economici non recessivi ha alimentato il ciclo rialzista, nonostante l’ambiente politico e militare complesso.
La concentrazione della ricchezza come motore finanziario
A questi fattori si aggiunge, a nostro modo di vedere, la crescente concentrazione di liquidità nelle mani di soggetti ad alto patrimonio netto (high-net-worth individuals, fondi sovrani, family office, istituzioni), che dispongono di grandi masse finanziarie da investire.
Non pochi studi mostrano come, tradizionalmente, la quota di ricchezza azionaria sia fortemente sbilanciata verso i più ricchi: ad esempio, negli Stati Uniti, il 10 % più ricco detiene circa l’84 % della ricchezza azionaria. Questi soggetti sono inoltre maggiormente propensi a spingere verso l’azionario, asset alternativi e private equity, alla ricerca di rendimento in un ambiente di bassi tassi
L’Ubs Billionaire Ambitions Report del 2024 rileva che i miliardari hanno sovraperformato i mercati globali — +121% contro il 73% dell’Msci Ac World — e pianificano di incrementare ulteriormente gli investimenti in azioni, private equity, immobiliare e infrastrutture. Inoltre, il fenomeno del plutonomy, osservato da analisti Citigroup, descrive economie in cui la crescita è guidata — e consumata — da una ristretta élite patrimoniale.
Le famiglie Usa ci hanno guadagnato
Modelli teorici mostrano come gli investimenti finanziari, l’accumulazione di capitale e l’interesse composto tendano a generare una concentrazione crescente della ricchezza nel tempo. In aggiunta, la ricerca dell’Imf sul “Safe asset demand” segnala che la globalizzazione finanziaria ha spinto i prezzi delle azioni verso l’alto, favorendo i capital gains dei possessori di asset negli Stati Uniti: le famiglie benestanti, con maggiore esposizione azionaria, hanno beneficiato di questi guadagni più di altre.
Tutto ciò significa che una parte significativa della liquidità disponibile è controllata da investitori con elevato appetito per il rischio e capacità di allocarla rapidamente nei mercati pubblici e privati. Questo alimenta la domanda e sostiene le valutazioni azionarie, anche quando l’economia reale non è brillante o quando persistono tensioni geopolitiche.
Nuova resilienza
In sintesi, la crescita delle Borse nel periodo 2024–2025 può essere attribuita a una convergenza di elementi: la riconfigurazione settoriale favorevole, la leadership delle big tech, il sostegno delle politiche monetarie espansive e, non da ultimo, la concentrazione di liquidità in pochi attori capaci e disposti a investire massicciamente nei mercati. Tutti questi fattori si combinano per generare una dinamica di resilienza selettiva, dove alcuni segmenti dell’economia finanziaria prosperano nonostante l’instabilità esterna.