
Paradosso digitale
Digitali e sconnessi: tutti online, ma con qualche problemino ancora da risolvere. E un’indagine Eurispes rileva perché e dove
Rivoluzione digitale: una sfida aperta (e complessa) che, tra ambizioni e traguardi già raggiunti, secondo un'inchiesta di settore rileva ancora soprattutto un nodo da sciogliere: la capacità di trasformare la connessione in competenze
La Rivoluzione digitale può piacere o non piacere, resta comunque una sfida con cui – volenti o nolenti – è necessario confrontarsi. La questione non è evidentemente solo tecnica, limitata alla cerchia ristretta dei ricercatori e degli operatori degli specifici settori produttivi. Tocca il destino dei singoli, delle famiglie, delle comunità locali, delle aziende, degli Stati. Essa rimarca la responsabilità presente di ciascuno e di tutti rispetto al futuro. È l’adattamento di ogni essere umano e delle comunità alle rispettive funzioni nel mondo. È la sfida dell’oggi con l’occhio rivolto oltre la quotidianità. E dunque è segno della volontà/capacità di preparazione rispetto alle sfide che ci attendono quotidianamente.
Rivoluzione digitale, una sfida aperta (e complessa)
Siamo – di fronte a questi scenari – tutti connessi e perciò “digitali”? In realtà non è così. La fotografia scattata dall’Eurispes, con l’indagine 2025 “Il rapporto delle persone con il digitale”, rivela un paradosso: la rete è ovunque, gli strumenti sono diffusi, ma le competenze restano fragili. Si naviga tanto in Rete, ma spesso senza direzione e senza costruire valore: un quadro che mette in discussione la retorica dell’innovazione come soluzione di ogni problema e che obbliga a guardare alla qualità, e non solo alla quantità, della vita online.
Il paradosso rivelato dall’indagine Eurispes
Non basta insomma essere “connessi” per essere cittadini digitali. L’87,7% della popolazione è in Rete, ma questo dato nasconde squilibri profondi. Come sottolinea il Rapporto, mentre oltre il 70% degli under 30 utilizza quotidianamente strumenti digitali in modo nativo, tra gli over 65 questa percentuale crolla drasticamente. Peraltro la frequenza d’uso non corrisponde automaticamente alla qualità dell’uso stesso.
La questione non è più l’accesso, ma la capacità di trasformare la connessione in competenze. Solo il 26% di chi ha al massimo la licenza media possiede competenze digitali adeguate, contro il 68% dei laureati. Il divario non è solo educativo: si estende anche a chi, pur avendo accesso a strumenti e infrastrutture, non sa come sfruttarli in modo consapevole. In questo senso, il digitale diventa un amplificatore di disuguaglianze preesistenti, sociali e territoriali.
Il nodo da sciogliere: la capacità di trasformare la connessione in competenze
Il tema formativo resta un nervo scoperto. Secondo il Rapporto, solo il 31% degli italiani ha partecipato a corsi di aggiornamento o formazione digitale negli ultimi 12 mesi, contro il 41% della media europea. I giovani restano il gruppo più esposto, perché vivono la connessione come condizione permanente. La Rete non è più un luogo da raggiungere, ma un ambiente da abitare quotidianamente. Ma la promessa di libertà si intreccia con nuove forme di pressione e ansia. Secondo l’indagine Eurispes, il 76% dei giovani sotto i 34 anni sente che il mondo sta cambiando troppo in fretta e che chi non riesce a “tenere il passo” rischia di essere emarginato socialmente e professionalmente.
La presenza in rete tra emancipazione e controllo, diritto e doveri
Lo smartphone diventa al tempo stesso strumento di emancipazione e dispositivo di controllo. Non sorprende allora che oltre il 65% dei giovani under 24 ritenga “faticoso” sostenere la propria presenza costante online, mentre più del 40% ammette di modificare intenzionalmente la propria immagine o comportamento sui social per ottenere approvazione. L’identità digitale diventa così un lavoro continuo di editing personale, in cui l’attenzione degli altri diventa il parametro di validazione più importante.
Questa dinamica ha ricadute sulla salute mentale, sulla capacità di concentrazione e sul tempo disponibile per attività formative o relazionali.
Rivoluzione digitale, tra migliorie e stress
Il digitale promette inclusione, ma spesso genera la paura di restare indietro: la Fomo (fear of missing out: paura di perdersi qualcosa) è ormai un tratto comune, con effetti tangibili su stress, ansia e qualità della vita. La connessione è un diritto, ma rischia di diventare anche un dovere percepito, un obbligo sociale a cui è difficile da sottrarsi. L’indagine condotta da Edmo (l’osservatorio europeo sui media digitali e la disinformazione), citata nel Rapporto, mostra che i ragazzi sanno usare bene gli strumenti digitali, ma spesso fanno fatica a distinguere tra una fonte attendibile e una fuorviante. Qui sta la nuova fragilità: non l’assenza di Rete, ma la difficoltà di navigarla con consapevolezza.
Il digitale è certamente tecnica, capacità di conoscere e di orientarsi all’interno dei nuovi strumenti tecnologici. Ma la tecnologia non esaurisce le opzioni date, che riguardano soprattutto una nuova assunzione di responsabilità da parte di tutti sia a livello mentale che funzionale, sconfiggendo il rischio che ad emergere sia un vero e proprio “sottoproletariato digitale”, subalterno rispetto alle derive tecnocratiche.
La Rivoluzione tecnologica richiede a tutti, non solo ai tecnici e agli smart worker, di essere uomini pensanti, invitandoci a trovare un nuovo equilibrio tra uomo e tecnologia. E quindi una nuova consapevolezza tecnica ed umanistica rispetto alle trasformazione in atto. Non basta insomma insegnare a usare gli strumenti. Come invita fare il Rapporto Eurispes «l’insegnamento non dovrebbe limitarsi all’uso tecnico degli strumenti, ma affrontare anche temi come la cittadinanza digitale. I diritti e i doveri online. La sicurezza dei dati. Cyberbullismo. Gestione del tempo di connessione, e la consapevolezza dei meccanismi algoritmici».
Modalità e tempi di accesso ai servizi online
Non ultima la questione relativa all’accesso ai servizi online. Il digitale può consentire ai cittadini di accedere ai servizi e di farlo in tempi brevi. Ma non sempre questo strumento raggiunge tutte le fasce della popolazione. Se è vero che la connessione rende più veloci i servizi, d’altro canto essa non rende più partecipata la società, laddove il fatto che solo un terzo degli italiani si aggiorni con corsi di formazione digitale in un anno mostra come la digitalizzazione resti ancora una pratica parziale, confinata a chi ha tempo, risorse e strumenti per coglierne le opportunità. L’educazione digitale diventa allora il terreno decisivo per colmare i divari. Senza questa, la Rete rischia di rafforzare le asimmetrie esistenti: tra Nord e Sud, tra generazioni, tra classi sociali. Non è più questione di portare Internet nelle case, ma di portare competenze tra i cittadini.
Rivoluzione digitale, una partita tutta da giocare
Per affrontare questa sfida, l’Ue ha messo a punto ‒ attraverso il Programma per il Decennio Digitale 2030 ‒ una strategia che punta a creare una società digitale giusta, sostenibile e resiliente. Gli obiettivi principali del programma si concentrano su quattro aree fondamentali: il capitale umano digitale. Infrastrutture sicure e sostenibili. La digitalizzazione delle imprese. E la modernizzazione dei servizi pubblici. L’Italia ha fatto propri questi obiettivi attraverso strumenti come il Pnrr, che prevede investimenti in connettività, 5G, digitalizzazione della Pa, semplificazione dei servizi e potenziamento delle competenze digitali. Anche in ambito educativo si sono avviate riforme per inserire l’educazione digitale nei percorsi scolastici.
Tuttavia, questa azione collettiva risulta ancora molto sbilanciata verso l’aspetto tecnologico, lasciando in secondo piano la protezione dell’individuo, spesso anziano, come si è visto. In termini “funzionali”, a partire dai luoghi di lavoro ma non solo, è inoltre assente (e sottovalutato) il ruolo dei corpi sociali contro i pericoli della disintermediazione. Con alla base l’idea che l’individuo sia il migliore giudice di sé stesso e dunque non abbia bisogno di “intermediari”, sia in campo politico che sociale.
Al contrario, attraverso i corpi sociali può nascere e crescere una volontà di integrazione culturale e sociale, in grado di coniugare nuove tecnologie e partecipazione, tecnica e crescita spirituale. A partire da una esigenza di fondo: quella della gestione consapevole dei nuovi processi tecnologici e delle loro ricadute politiche. Sociali. E culturali. Una sfida insomma a tutto campo dove le “questioni tecniche” rappresentano la classica punta d’iceberg di problematiche sempre più ampie e complesse con cui è urgente confrontarsi.