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Archeologia del Sacro: il respiro delle civiltà nelle pietre del passato per nutrire il presente

La vita "profonda"

Archeologia del Sacro: il respiro delle civiltà nelle pietre del passato per nutrire il presente

Incontrare il Sacro nei luoghi della storia e della preistoria è un atto culturale, perché un’archeologia del Sacro è, in fondo, un’archeologia dell’uomo. Non scava soltanto nel terreno, ma nel cuore delle civiltà

Cultura - di Alberto Samonà - 24 Agosto 2025 alle 10:49

Ogni civiltà ha lasciato dietro di sé testimonianze molteplici della propria permanenza. Quel che resta oggi, ben lungi dall’essere macerie, o semplici rovine da classificare come tali, è, agli occhi di chi sa guardare, una lente d’ingrandimento sul mondo del passato, sulla sua anima, custodita talvolta per millenni proprio nelle pietre. Una certa visione figlia di una modernità positivista ha spesso ridotto questi luoghi a meri oggetti di scavo, a cronologie da stabilire, a schede inventariali da compilare. Materiali assolutamente necessari, ma sempre propedeutici alla conoscenza di ciò che è stato. Sì, perché chi visita un sito archeologico può sentire che c’è una vita che pulsa in profondità, c’è come un respiro che non appartiene soltanto al passato, ma che ancora ci interpella, ci interroga e ci invita alla sua scoperta.

Ed è questo anche il cuore di ciò che si definisce “archeologia del Sacro”: una possibilità che riconosca come nelle cosiddette rovine possa esservi il riflesso di cosmologie, di visioni, di rapporti profondi tra l’uomo, la terra e il Cielo. In poche parole, l’archeologia diventa l’occasione per indagare il rapporto che, in varie parti del mondo e nelle diverse epoche storiche, l’uomo ha avuto con il Divino e con l’elemento trascendente, e come tale rapporto abbia influenzato le relazioni sociali, le dinamiche culturali, le strategie geopolitiche. 

L’architettura come atto divino

Nessuna civiltà ha costruito a caso. La forma delle Piramidi di Giza ci ricorda che in esse veniva praticato, insieme al culto dei faraone, anche il culto del Sole; Stonehenge scandisce con la sua geometria il Solstizio d’Estate, trasformando un cerchio di pietre in un calendario cosmico; i templi di Chichén Itzá, in Messico, danno vita, durante gli equinozi, al “serpente piumato”, un gioco di luci e ombre che discende le scalinate, immagine del dio Kukulkán che ritorna tra gli uomini. E ancora: i complessi di Angkor Wat, concepiti come mandala cosmici incisi nella giungla, o Göbekli Tepe, uno dei più antichi santuari del mondo, in cui presumibilmente sarebbe stato presente un culto sciamanico, per non parlare, ovviamente delle testimonianze a noi più vicine, i templi greci e quelli romani. Sono solamente pochi, sparuti esempi, di questo rapporto continuo e costante tra gli esseri umani e l’Assoluto, in base al quale l’architettura, nutrendosi di competenze e conoscenze tecniche, fosse anche “liturgia” da affermare attraverso l’edificazione di edifici, santuari, dimore, piazze, traduzioni terrene di un ordine celeste. Ecco perché i resti materiali del passato, in molte occasioni, erano luoghi sacri, spazi liminali, che andavano oltre l’idea stessa di un tempo lineare, avvolgendosi in una circolarità mistica e universale. Questo richiamo circolare ci fa pensare come, ancora oggi, lo spirito dei luoghi permanga, avendo attraversato epoche e millenni, ma essendosi cristallizzato in una oggettività, nella quale il tempo si arresta e il cosmo si rende presente, adesso come ieri.

Le nuove tecnologie, i grandi strumenti di comunicazione di massa, l’interconnessione planetaria tra miliardi di persone possono, forse, oggi facilitare lo scambio di informazioni ad “alto livello”, affermando le possibilità di una scienza che non rinneghi la sua precisione metodologica, ma che sappia anche aprirsi alla dimensione simbolica: un’archeologia che possa restituire ai siti la loro anima, e dare alla dimensione del Sacro quella dignità che per molto tempo le si è negata, deliberatamente o per distrazione. In tale percorso di consapevolezza, l’approccio multidisciplinare è un buon punto di partenza per delineare una strategia di lungo periodo, volta a guardare insieme al passato e al futuro.

Esploratori del sacro

Proprio in questa direzione si muove un’iniziativa recente, nata con respiro internazionale: “The Roots Company”, un’organizzazione no-profit che unisce archeologi, antropologi, storici delle religioni, musei e università di diverse nazioni, e che ha scelto di raccontare i grandi siti archeologici e spirituali del pianeta, in particolare quelli ancora inesplorati o meno conosciuti, non soltanto come resti materiali, ma quali portali di senso, “per esplorare le sacre origini dell’umanità”. Ogni anno un sito sarà visitato da un’équipe scientifica, indagato e poi narrato attraverso pubblicazioni, documentari, progetti editoriali e con il coinvolgimento delle comunità locali. La prima tappa è stata scelta in Perù, a Huaca del Sol, tempio colossale della civiltà Moche, sospeso tra sabbia e cielo. Il progetto – che coinvolge studiosi di fama internazionale e che dialoga anche con istituzioni come il Vaticano e l’American Museum of Natural History di New York – rappresenta il segno concreto di un modello che, se perseguito, può rinsaldare un legame necessario tra il rigore della scienza e l’intuizione del Mito, tra la cronaca delle date e la voce dei simboli.

I rischi che oggi si corrono sono, infatti, la distruzione materiale dei siti – minacciati da guerre, traffici illegali, speculazioni – e quella spirituale: la riduzione a luoghi svuotati di significato, sviliti, perché il più delle volte non compresi. Contro questo rischio, scoprire o riscoprire un’archeologia del Sacro non è certo un vezzo intellettuale, bensì una necessità, per guardare ai luoghi quali veri e propri testi simbolici, espressioni di un’umanità che non separava il cielo dalla terra, il mito dalla scienza, la preghiera dalla conoscenza. Ed è, pertanto, un gesto per restituire a noi stessi ciò che abbiamo smarrito: un orizzonte che vada oltre il consumo e l’effimero, che ridoni profondità al nostro tempo frammentato. E che lo possa raccontare e trasmettere alle generazioni che verranno.

La lezione di Eliade

Incontrare il Sacro nei luoghi della storia e della preistoria è, dunque, un atto culturale, perché un’archeologia del Sacro è, in fondo, un’archeologia dell’uomo. Non scava soltanto nel terreno, ma nel cuore delle civiltà, nei loro sogni e nelle loro paure, nei loro tentativi di dare senso al mistero della vita e della morte. Ed è insieme un invito a guardare ai siti archeologici, non con l’occhio arido del turista di massa o con la freddezza del “tecnico”, ma con la consapevolezza che lì, tra pietre e silenzi, si cela ancora la lingua divina tradotta dagli uomini e giunta intatta fino a noi.

Perché, come ricordava Mircea Eliade, “Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della sua storia. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato”. Senza questo sguardo, rischiamo di abitare tra le macerie non del passato, ma del nostro stesso presente.

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di Alberto Samonà - 24 Agosto 2025