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Zanzara killer? Basta allarmismi in stile Covid. Rezza: “Un solo morso non può mai provocare l’infezione West Nile”

Zanzara killer? Basta allarmismi in stile Covid. Rezza: “Un solo morso non può mai provocare l’infezione West Nile”

Cronaca - di Monica Pucci - 26 Luglio 2025 alle 15:05

“Serve chiarezza sui rischi legati al virus West Nile: anche all’interno delle zone in cui sono stati rilevati casi “una puntura di zanzara non vuole dire infezione certa, e infezione non significa malattia grave ma esiste una gradazione del livello di rischio età dipendente e sono gli anziani a rischiare di più. Lo scrive – giocando con l’assonanza del suo cognome e la chiarezza promessa – Gianni Rezza, già direttore della Prevenzione del ministero della Salute e oggi professore straordinario di Igiene all’università Vita-Salute San Raffaele sulla sua pagina Facebook, evidenziando che “è importante identificare e prontamente le aree colpite, cosa che le Regioni (col supporto delle Asl) stanno facendo, e proteggere attivamente le persone a rischio con interventi che interessino cittadini e comunità”.

Zanzara killer, i chiarimenti del professor Rezza

“Quando si affronta il tema del rischio di infettarsi e di ammalarsi in maniera più o meno grave, occorre pensare in termini probabilistici. Deve essere quindi chiaro che esiste una forte variabilità geografica all’interno del nostro Paese, e che il virus West Nile è attualmente presente solo in alcune aree di un certo numero di regioni. Particolare attenzione va quindi posta nell’identificare le aree affette, all’interno delle quali vanno prese particolari precauzioni. Anche laddove West Nile sta attivamente circolando, non è detto che la puntura di una singola zanzara conduca all’infezione (anche se non si può escludere), in quanto la prevalenza di zanzare positive per il virus è in genere bassa, per cui la probabilità di infettarsi cresce col numero di zanzare da cui si viene punti”.

Un altro nodo critico, continua Rezza, ” riguarda il rischio di sviluppare sintomi o di ammalare gravemente una volta infettati. Su questo, i dati della Regione Lazio, che insieme alle altre regioni sta compiendo un ottimo sforzo sul campo, possono esserci d’aiuto. Su 28 casi identificati a ieri fra provincia di Latina e Anzio, 17 sono neuroinvasivi (il che non vuole dire però necessariamente ‘gravi’. I sacri testi ci dicono che su 100 casi, 20 presentano sintomi lievi, e meno di uno va incontro a una grave encefalite. È chiaro che i sistemi di sorveglianza tendono a identificare soprattutto i casi con sintomi più evidenti mentre tendono a ‘sfuggire’ quelli asintomatici o paucisintomatici (lo scorso anno in Italia 272 dei 460 casi riportati, ovvero più del 50%, aveva sintomi neurologici)”.

L’esperienza fatta in nel nostro Paese in questi anni “evidenzia come, anche nella maggior parte dei casi caratterizzati da neuroinvasivita’, quelli che poi finiscono in terapia intensiva con sintomi gravi sono fortunatamente pochi (attualmente un paio nel Lazio, oltre purtroppo alla 82enne deceduta). Quindi la probabilità di ammalare in maniera grave una volta infettati è bassa (se venissero identificati tutti gli infetti, cosa non fattibile, lo si capirebbe facilmente), ma dipende dall’età della persona colpita, ovvero aumenta con l’aumentare dell’età, e anche se possono manifestarsi rari casi con sintomi pesanti fra i giovani oltre che in immunodepressi, ad essere a maggior rischio di ammalare gravemente sono i grandi anziani.

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di Monica Pucci - 26 Luglio 2025