
Chi non muore si ricrede...
Sinner, Gramellini and co. da populisti a patrioti a scoppio ritardato: quelli che fino a ieri dicevano “non è italiano”, ma oggi si esaltano per Wimbledon
Da populisti a patrioti nell'arco di un "Caffè". Dopo aver criticato il fuoriclasse azzurro per la sua residenza a Montecarlo, oggi il "Corriere della sera" celebra il campione altoatesino come eroe nazionale per la vittoria a Londra nel giardino del Re. Eppure, nei mesi scorsi, le penne più affilate della testata nazionale non lesinavano al giovane di Sesto Pusteria rilievi e commenti al vetriolo...
L’Italia si sveglia oggi con il profumo inebriante della vittoria: quella di Jannik Sinner a Wimbledon. Un trionfo al termine di un duello nel giardino del Re d’Inghilterra, tra due prodi cavalieri capaci di sfidarsi a colpi di racchetta e che ha fatto vibrare le corde più profonde del sentimento nazionale, persino quelle di chi, fino a ieri, sembrava avere una spiccata allergia all’orgoglio italico… Specialmente se questo era associato a un conto in banca all’estero. Ci riferiamo, ovviamente, ai soliti noti: le penne affilate del Corriere della Sera, Massimo Gramellini su tutti, che da fustigatori dei costumi fiscali si sono improvvisamente tramutati in araldi del patriottismo sportivo. Tanto da pubblicare oggi sulle pagine del quotidiano di Via Solferino (di cui riproduciamo il post su Instagram) il commento di Adriano Panatta, storico e indefesso sostenitore del talento altoatesino.
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Sinner, i fustigatori dei costumi ci ripensano: a partire da Gramellini
Eppure, ricordate? Non molti mesi fa, era febbraio, Sinner non era ancora l’eroe di Wimbledon, ma già un campione sul campo e numero uno nel mondo Atp, ma la sua residenza monegasca era diventata il bersaglio preferito di chi ama sputare sentenze da pulpiti ben retribuiti. Il refrain era sempre lo stesso (anche se per esigenze di brevità lo affideremo a riassuntivi slogan): “Non paga le tasse in Italia!”, “Vive a Montecarlo per tornaconto”, ecc.ecc. Un’accusa populista, come ben sottolineava già allora Ubaldo Scanagatta, che con la consueta lucidità replicava alle insinuazioni pungenti: «Hanno preso una posizione populista che non condivido. Sinner gioca oltre 200 giorni l’anno fuori d’Italia. Vive e si allena a Montecarlo per motivi tecnici, logistici, climatici. E paga le tasse all’estero». Parole sagge, purtroppo rimaste inascoltate nel turbine del moralismo spicciolo.
Eppure solo qualche mese sul “Corriere della sera” scrivevano…
Non solo. Sul sito di Ubitennis Ubaldo Scanagatta, citando testualmente, replicava agli illustri detrattori in deliro corsivista: «Ha scritto Cazzullo che Sinner per il fatto che “non contribuisca alla sanità, alla scuola, alla sicurezza, alle molte esigenze della comunità nazionale che rappresenta, dovrebbe farci dubitare non tanto di Sinner, quanto di noi stessi”. Mentre Gramellini – proseguiva a febbraio il giornalista e telecronista sportivo – ha scritto in modo più blando: “Sinner in un altrove esentasse ha messo la residenza, è vero, come tanti del suo lignaggio e con il suo ingaggio. Non sono il suo commercialista, ma se riportasse la residenza in Italia, diventerebbe definitivamente il mio tipo preferito di italiano”».
E Scanagatta replicava
E ancora. «Un anno fa – incalzava Scanagatta – Cazzullo aveva anche scritto in risposta a un titolo di una rivista specializzata (questo il titolo: È da dementi fare polemica sul fatto che uno decida di risiedere a Montecarlo)… “Ecco, mi autodenuncio: sono uno di quei dementi! Trovo amaro che, nel momento in cui ci sono compatrioti che muoiono nel bagno di un ospedale, altri italiani si chiamino fuori dalla comunità”. E aveva aggiunto – ma il testo completo dei loro articoli lo trovate in basso, qui solo sintetizzato: “Nell’attesa, non tiferò più per Sinner, e continuerò a tifare Nadal, che è uno dei primi contribuenti del Regno di Spagna. E lascerà nella storia dello sport un’impronta incomparabilmente più profonda di Sinner, Musetti e Berrettini messi assieme».
I detrattori di Sinner da Gramellini and co. e da populisti a patrioti nell’arco di un “Caffè”
E oggi? Tutto archiviato nelle teche del dimenticatoio sembrerebbe. Almeno per quanto riguarda i file del “Caffè” di Gramellini, appuntamento quotidiano in prima pagina sul Corsera, dove leggiamo: «Un italiano che vince a Wimbledon non rientra nel novero delle imprese a cui un appassionato di tennis nato nel secolo scorso immaginava di poter assistere in questa vita»… Come dove, poco dopo, ci sorprendiamo a rilevare tra un elogio dell’impegno e una riflessione celebrativa, che «nonostante le profezie funeste di tanti esperti, tra gli amici le sensazioni della vigilia tendevano all’inesorabile: vince Sinner in quattro set, ci dicevamo sottovoce. Il bello è che poi è successo davvero». Tutto dimenticato allora?
Tutto dimenticato?
Ebbene, sembrerebbe proprio di sì. Oggi, con il trofeo di Wimbledon ben saldo tra le mani di Sinner, l’aria sembra cambiata e la casacca mainstream lascia posto nell’armadio a quella degli appassionati di tennis in preda al tifo azzurro. Le stesse voci che un tempo si levavano contro il presunto “tradimento fiscale”, oggi si sgolano in un coro unanime di “Forza Italia!” e “Campione vero!” per dirla in breve. Un’improvvisa epifania patriottica che farebbe sorridere, se non fosse che rivela la solita, stucchevole ipocrisia di un certo moralismo radical chic. Quando c’è da mettere alla gogna il successo altrui, si è pronti a indossare i panni del più zelante degli ispettori del fisco. Ma quando il successo porta gloria e lustro alla nazione, allora la residenza fiscale diventa un dettaglio trascurabile. Un vezzo da campioni. O semplicisticamente un piccolo sacrificio da tributare alla causa abbandonando tentazioni forcaiole…
Sinner nel frattempo, (e Gramellini docet), continua a vincere
Non ci sorprende. Il populismo, dopotutto, ha la memoria corta e la convenienza lunga. Sinner, nel frattempo, continua a vincere, a prescindere dalle polemiche pretestuose. E forse, la sua vittoria più grande, oltre al titolo di Wimbledon, è quella di aver fatto calare l’ennesima maschera di una certa intellighenzia italiana, pronta a cambiare opinione come cambia il vento pur di salire sul carro del vincitore. A noi resta l’amaro in bocca per il ritardo con cui alcuni si sono accorti del suo talento, e il sorriso beffardo di chi ha sempre creduto che il valore di un uomo, e di un campione, si misuri sul campo. E non in base alla casella “residenza” del suo modulo 730.