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Rocco Chinnici

Delitti italiani/13

Rocco Chinnici, il martire che aprì la strada all’antimafia e che non fu perdonato da Totò Riina

Quarantatrè anni fa il magistrato fu fatto saltare in aria per la sua capacità di capire e di colpire al cuore Cosa Nostra. Insieme a lui morirono i due agenti della scorta e il portiere dello stabile

Cronaca - di Mario Campanella - 29 Luglio 2025 alle 13:32

Rocco Chinnici non sapeva, quel 29 luglio del 1983, che la mafia uccide anche e soprattutto d’estate. 43 anni fa a Palermo, il grande magistrato che ideò il pool antimafia, cadde sotto i colpi del crimine perdendo la vita insieme a due agenti della sua scorta e al portiere dello stabile in cui viveva.

Rocco Chinnici e le intuizioni geniali

Rocco Chinnici entrò nella magistratura  nel 1952, avendo come prima destinazione il tribunale di Trapani come uditore giudiziario. In seguito fu pretore a Partanna, dal 1954 al 1966, anno in cui pervenne a Palermo, dove il 9 aprile prese servizio presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale, nel ruolo di giudice istruttore.

Nel 1970 gli fu assegnato il caso della cosiddetta “strage di viale Lazio”, in cui figuravano molti nomi di criminali di mafia. Nel 1975, giunto al grado di magistrato di Corte d’Appello, fu nominato Consigliere Istruttore Aggiunto. Divenne magistrato di Cassazione e Consigliere Istruttore dopo altri quattro anni e come tale, in quel 1979 in cui fu ucciso Cesare Terranova, fu chiamato alla carica di dirigente dell’Ufficio in cui già lavorava sull’onda dell’emozione per quel delitto “eccellente”.

Il pool antimafia

Altri omicidi seguirono non molto tempo dopo, nel 1980, quando Cosa nostra uccise il capitano dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Basile (4 maggio) e il procuratore Gaetano Costa (6 agosto), amico di Chinnici, con cui aveva condiviso indagini sulla mafia, i cui esiti i due giudici si scambiavano in tutta riservatezza dentro un ascensore di servizio del palazzo di Giustizia. Dopo quest’ultimo omicidio Chinnici ebbe l’idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell’Ufficio (poi nota come pool antimafia), conscio che l’isolamento dei servitori dello Stato li espone all’annientamento e li rende vulnerabili, in particolare poiché un giudice o poliziotto che indaga da solo e venne ucciso, si seppellisce con loro anche il portato delle sue indagini. Entrarono a far parte della sua squadra alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

I mandati di cattura

Nel luglio 1982, sulla scrivania di Chinnici arrivò il cosiddetto “Rapporto dei 162” (Greco Michele + 161), redatto congiuntamente da Polizia e Carabinieri che metteva in luce, per la prima volta, gli schieramenti mafiosi coinvolti nella seconda guerra di mafia allora in corso, sia i gruppi “perdenti” (la fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti) sia quelli “vincenti” (i corleonesi di Totò Riina), e i relativi omicidi con scrupolose verifiche e riscontri, ottenuti anche servendosi di preziosi “confidenti”.

La morte di Chinnici

Rocco Chinnici fu ucciso alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico a Palermo, all’età di 58 anni. Ad azionare il telecomando che provocò l’esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, che si trovava nascosto nel cassone di un furgone rubato parcheggiato nelle vicinanze di via G. Pipitone Federico. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall’esplosione: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico in cui Chinnici viveva, Stefano Li Sacchi. L’unico superstite fu l’autista Giovanni Paparcuri, che riportò gravi ferite.

Le condanne e l’eredità morale

Nel 2002 la Corte d’assise di Caltanissetta, dopo un complicato iter processuale durato quasi vent’anni, ha condannato all’ergastolo come mandanti dell’attentato i vertici della “Cupola” mafiosa. Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci, Antonino Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Giuseppe Farinella) e, come esecutori materiali, Antonino Madonia, Calogero Ganci, Stefano Ganci, Vincenzo Galatolo, Giovanni Brusca, Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo.

La sua eredità morale è ancora viva. Quella materiale fu raccolta da Caponnetto e poi da Falcone e Borsellino. Fu il precursore di una lotta alla mafia separata dal resto delle altre attività giudiziarie. Un altro gigante italiano.

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di Mario Campanella - 29 Luglio 2025