
Il giudice e i suoi ragazzi
Quel testimone che Paolo Borsellino consegnò ai ragazzi del “Fronte”
Il ricordo di una "festa" - quella del Fronte della Gioventù a Siracusa nel 1990 - destinata a restare scolpita perché è a quei giovani che Paolo Borsellino, il magistrato antimafia, l’ex militante del FUAN, consegnò un lascito che è diventato storia: "Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirei sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono"
Settembre 1990, a Siracusa si schiattava di caldo, ma le feste del Fronte della Gioventù dovevano peregrinare per l’Italia e fare proseliti, costruire la generazione diversa, creativa, aperta, perennemente laboriosa. Eravamo già stati a Spoleto e Assisi, saremmo transitati per Roma e poi Santa Severa. Ma quella festa non la dimenticherò mai. Nel campeggio una piscina bella e grande, nella piazza principale m’incollai come sempre la realizzazione del palco a fianco al Duomo, ovunque pietra, grigio lava o bianca calcarea e sole, luce, vento tiepido.
Eravamo i soliti quattro gatti senza un soldo che pretendevano di realizzare eventi da mille e una notte. I ragazzi inarrestabili di Colle Oppio, gli universitari di Fare Fronte, i militanti della Trieste Salario e poi la nidiata dei “non conformi” sparsi per l’Italia, da Verona, Firenze, Milano, più i siciliani di Catania, Palermo e Siracusa, infine la realtà-prodigio della Comunità Giovanile di Busto Arsizio.
Sulle bandiere finalmente simboli nuovi, Corto Maltese su ogni grafica e vicino a sé un gabbiano ad ali spiegate sembrava indicargli la rotta per l’avventura successiva.
Si giocava al salto della cavalletta, si cantavano a squarciagola solo canzoni del nostro tempo e ci si gonfiava il petto con le campagne studentesche fresche di stampa: “il gusto della trasgressione”, “tutti gli uomini di valore sono fratelli”, “è amore per il proprio popolo”… Nessun vessillo o ammennicolo passatista, solo originalità e freschezza. Molti non capivano e ci dicevano “ma chi credete di essere a fare tutto questo senza richiami al fascismo?” Già, solo insopportabili palloni gonfiati.
Una festa destinata a restarci scolpita nella testa e nel cuore perché sarebbe venuto Paolo Borsellino, il magistrato antimafia, l’ex militante del FUAN di Palermo, uno dei miti di un movimento antico e nuovo al tempo stesso, alfiere di uno stile di vita pesante ed esaltante da portare in dote. L’amico di una vita, Pippo Tricoli, lo condusse per mano sul palco, al fianco di Fabio Granata e Gianni Alemanno e lì si compì il miracolo del “lascito”: «Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirei sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono: ecco, in quel caso non sarò morto invano». Queste le sue parole, interrotte da qualche tirata di sigaretta, sguardo fiero da predestinato.
I ragazzini ‘appestati’ che gli stavano di fronte pieni d’orgoglio si sentirono parte della sua missione e non si tireranno mai più indietro, non resteranno chiusi e reietti ad attendere che qualche intellettuale autocritico si accorgesse di loro, protagonisti di una confessione e depositari di una eredità. Quella che a maggio del 1992, a due mesi spaccati dall’orrore di Via D’Amelio e subito dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, sarebbe stata raccolta da 47 parlamentari missini che votarono per Paolo Borsellino presidente della Repubblica.
La Festa finisce, saluti, abbracci e avambracci, pacche sulle spalle, promesse di rivedersi presto. Sulla via del ritorno, di notte, il Camper diretto verso la Lombardia esce di strada, volano in cielo gli animatori della più innovativa aggregazione di sempre, la Comunità giovanile di Busto, Giovanni Blini e Massimo Gervasini. 1600 chilometri per ascoltare Paolo e per rompere ogni monotonia.