
La fiaccolata
Passi e cuori per Paolo Borsellino. Nel nome di quel contrattacco che è una promessa di vittoria
Un appuntamento reso sacro dalla costanza e dalla volontà di tutti i membri del Comitato organizzatore che ha reso questa fiaccolata la più grande mobilitazione antimafia in terra sicula
Silenzio e fuoco. Si apre così, in piazza Vittorio Veneto a Palermo, la fiaccolata per Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta in occasione dei 33 anni dalla terribile strage mafiosa di via D’Amelio. Un appuntamento reso sacro dalla costanza e dalla volontà di tutti i membri del Comitato organizzatore che ha reso questa fiaccolata la più grande mobilitazione antimafia in terra sicula. Migliaia di cittadini comuni, militanti e rappresentanti delle istituzioni, ogni anno, ripercorrono le orme degli studenti del Fronte della Gioventù che nell’ottobre del 1992, a pochi mesi dai fatti, scesero in piazza sfidando il clima di paura che aleggiava sopra la città, portando con sé solo coraggio, non poca spregiudicatezza e uno striscione: “Meglio un giorno da Borsellino che cento anni da Ciancimino”.
Paolo Borsellino assurse così a nume tutelare di un’intera generazione e, di lì a breve, di un intero popolo. Il suo sacrificio, si comprese subito, non sarebbe stato vano. Nonostante un boicottaggio silente ma assordante delle istituzioni e di parte della popolazione, specialmente nei primi anni, dal 1996 il percorso del corteo è sempre lo stesso, ed ogni anno è sempre più partecipato.
Gli organizzatori, Forum XIX luglio e Comunità ’92, non hanno bisogno di chiedere il Silenzio durante il percorso: ogni cittadino sa già dentro di sé che ogni parola sarebbe superflua. Le parole gettano un soffio troppo gelido sul calore delle azioni, direbbe Macbeth. Passi e cuori, non serve altro per connettersi con chi, nel pieno svolgimento del proprio dovere, ha donato la vita nel combattere chi non ha mai fatto e voluto il bene di Palermo, della Sicilia, dell’Italia.
Il quartiere si ferma. Attività e passanti ossequiano le persone in marcia, ognuna con in mano una goccia di sole. Il Fuoco delle fiaccole è il rumore più forte che sentirete stasera, sembrano dire i partecipanti assorti e concentrati nel rendere il dovuto tributo. Il Fuoco, elemento chiave per i popoli (indo)europei, è l’altro elemento della dicotomia che ci accompagnerà fino al luogo del martirio in via D’Amelio, apice e termine della commemorazione, che poi troppo commemorazione non è. Si percepisce distintamente che i partecipanti non sono qui solo al fine di ricordare. Certo, la memoria è parte fondante del processo, ma non è quello che muove gli animi.
Non siamo di fronte a dei custodi, statici e passivi, con l’esclusivo compito di tramandare. Siamo di fronte ad un contrattacco attivo e mosso dalla volontà di costruzione, rinnovamento e rinascita. Questa marcia di circa duemila persone è la prova che la mafia va combattuta e che di mafia si deve parlare, si deve parlare di come è nata, di come si è radicata, e poi di come è ritornata nuovamente in Italia e di come si è insinuata dei gangli di una Nazione, seducendo alcuni e terrorizzando i più. E consegnando involontariamente alla storia uomini che, distinguendosi per coraggio e abnegazione, a costo della propria sicurezza, l’hanno combattuta con tutte le forze.
Una marcia sobria ma solenne per Paolo, ma non solo, ha trasmesso tutto questo. Nessuna sfilata, nessuna passerella, nessuna polemica, nessuna vetrina. Non c’è stato spazio per tutto ciò. Gli organizzatori ci confermano che ogni persona partecipa in maniera impersonale e attiva, indipendentemente da ruoli e classi sociali. Ognuno è insieme a chi gli sta di fianco ma al contempo solo con la propria anima.