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Una foto d’archivio della visita del presidente Meloni ai militari italiani in Libano

Un orgoglio nazionale

L’Italia che protegge, e la missione della Repubblica: i nostri militari sono custodi di pace. Difenderli è un dovere

C'è una retorica ideologica che dipinge il nostro sistema difensivo come una minaccia mascherata, quasi fosse preludio alla guerra anziché presidio di democrazia. Ma le donne e gli uomini in uniforme impegnati all'estero rendono la nostra Costituzione azione concreta. E va ricordato

Politica - di Antonio Giordano - 21 Luglio 2025 alle 14:30

C’è un’Italia che spesso non fa notizia, che non urla, che non divide, che non cerca applausi ma li merita tutti. È l’Italia che indossa le divise per custodire la pace. E tra chi parte in silenzio per operare nei luoghi più instabili del mondo ci sono le missioni italiane all’estero.

Le troviamo dove c’è bisogno di stabilità, di presenza amica, di ordine e giustizia. Dalla Libia al Niger, dal Mediterraneo orientale alla Bosnia, dal Kosovo all’Iraq, fino al Sahel: non sono soltanto teatri geopolitici, ma missioni internazionali in cui la nostra presenza contribuisce a tutelare la sicurezza comune, rafforzare la cooperazione e affermare valori condivisi. Ogni uniforme italiana parla il linguaggio della responsabilità e del coraggio.

A queste missioni attuali si affianca la memoria di quelle passate, che hanno segnato profondamente la nostra coscienza nazionale. Tra le tante vittime del dovere in quei contesti così difficili, la cui dedizione resta un esempio per tutti, tornano immediatamente alla mente i caduti in Afghanistan e a Nassiriya.

Ignazio La Russa, da Ministro della Difesa, nel maggio 2010 chiarì la netta posizione del governo di centrodestra: «Fintanto che ci saranno missioni internazionali, si potrà discutere del numero dei militari da schierare, ma non delle risorse necessarie a garantire loro il massimo della sicurezza».

Guido Crosetto ha raccolto e rinnovato quell’impegno, e quel rispetto; come ha ricordato nell’audizione parlamentare del 27 marzo 2025, «l’opinione unanime in tutti i contesti in cui sono intervenute le missioni italiane, anche come peacekeeping, è che i nostri militari fanno la differenza», grazie alla loro «dignità, orgoglio, professionalità».

Le loro parole non sono retorica, sono rotta. Perché ogni contingente è la Repubblica che si fa corpo, presidio, responsabilità. E ogni volta che i bersaglieri, gli alpini, i parà scendono da un blindato o guidano un mezzo di pace, la nostra Costituzione si fa azione concreta.

Sono donne e uomini in uniforme, che non cercano gloria ma rappresentano ogni giorno la dignità di un popolo.

Dobbiamo mantenere alta l’attenzione sui rischi che i nostri militari affrontano, sulle condizioni operative in cui agiscono, e sull’equilibrio delicato tra le missioni all’estero e la nostra politica internazionale. È un dovere che diventa ancor più urgente di fronte a una certa retorica ideologica, soprattutto da sinistra, che tende a dipingere il sistema difensivo nazionale come una minaccia mascherata, quasi fosse il preludio alla guerra anziché un presidio di democrazia. Al contrario: la sicurezza è il cuore silenzioso della sovranità e della responsabilità istituzionale.

Mentre il mondo brucia, l’Italia continua a dimostrare di saper stare in prima linea con onore, misura e determinazione, proteggendo il proprio popolo e, quando necessario, anche altri popoli.

Dietro ogni uniforme, c’è una casa che aspetta. C’è una famiglia. C’è un Paese intero che deve riconoscersi in chi lo difende. Per questo serve più voce, più visione, più rispetto.

Penso che difendere chi ci difende, raccontandone le storie e riconoscendone il valore, è nostro dovere civico e morale. In un tempo confuso, in cui troppo spesso si dimentica da dove veniamo e chi ci protegge.

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di Antonio Giordano - 21 Luglio 2025