
L'intervista confessione
Il “compagno” Gino Paoli delude la sinistra: “In famiglia ci furono infoibati. Il Duce? Furbo e capace. La Resistenza? Anche pagine nere”
In vista del compleanno, ammesso che abbia voglia di fsteggiar, per i suoi novantuno anni, Gino Paoli parla di politica con spirito critico rispetto alla sua militanza a sinistra. Seduto a tavola con la moglie Paola, la suocera novantatreenne Leda e la figlia Amanda (avuta da Stefania Sandrelli), il cantautore racconta a “Repubblica” con sincerità e disincanto. Anche quando parla della storia, di quella contorversa, da sempre.
Gino Paoli, la madre, le foibe e la Resistenza
La madre Rina era “un po’ austriaca”: figlia di un triestino che “non amava gli italiani”, proveniva da un ambiente mitteleuropeo. Una parte della sua famiglia fu travolta dalla tragedia del dopoguerra: «Alla fine della guerra, una parte della famiglia di mia madre finì nelle foibe», racconta Paoli, rievocando uno degli episodi più oscuri e controversi della storia italiana del confine orientale. Pur dichiarandosi uomo di sinistra, Gino Paoli non nasconde le ombre della Resistenza, di cui è stato un testimone diretto da ragazzo a Genova: «Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti». Ricorda con dolore l’esecuzione sommaria della sua maestra, accusata di collaborazionismo: «Le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le spararono in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Doria». Una testimonianza cruda, che non smentisce i valori antifascisti, ma li affronta con spirito critico e consapevolezza storica.
Il 1960, la rivolta di Genova e le “magliette a strisce”
Paoli fu presente in uno dei momenti cruciali della storia repubblicana: la rivolta del luglio 1960 contro il congresso del MSI a Genova. Ricorda l’insurrezione cittadina al grido di “Basile no!”, riferendosi all’ex ufficiale di Salò che aveva collaborato con i nazisti. Anche lui partecipò agli scontri: in una foto apparve con sotto il braccio la testa di un poliziotto. Suo padre, ufficiale di Marina, andò su tutte le furie. «Dovetti fuggire per evitare la sua ira».
“Il fascismo? È stato anche un ideale”
A proposito di molti attori passati da Salò — come Tognazzi, Walter Chiari, Dario Fo — Paoli sorprende con un giudizio non convenzionale: «Erano idealisti. Il fascismo è stato anche un ideale. Come lo è stato l’anarchismo». Aggiunge che Mussolini fu “capace, furbo”, e capì che “gli italiani amavano identificarsi con gli eroi”. Una riflessione più sociologica che nostalgica, che non giustifica il fascismo, ma lo storicizza. Dal ramo paterno, invece, arriva un’eredità socialista e operaia. Il nonno Gino lavorava da decenni in altoforno, era noto a Piombino come un uomo di ferro. Anche gli americani ne conobbero il carattere: quando tentarono di avvicinarsi alle donne della casa, lui si presentò con un’ascia. «Volevano solo i peperoncini», racconta Paoli ridendo. Dunque, Gino Paoli non fa sconti, nemmeno alla sinistra di cui è stato parte. È uno dei pochi artisti italiani capaci di ricordare le zone d’ombra della storia del Novecento senza rinunciare alla propria identità, mantenendo intatto lo spirito libertario. Con una vita attraversata da successi, dolori profondi (come la perdita del figlio Giovanni) e un tentativo di suicidio nel 1963, Paoli arriva a 91 anni ancora lucido, provocatorio, poetico. E con Dio, dice, “ci parlo ancora. Anche per litigarci”.