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Il Camale-Conte cambia più idee che camicie: il sì al Ricci indagato è l’ultimo atto del trasformismo in salsa pugliese

L'avvocato poltronista

Il Camale-Conte cambia più idee che camicie: il sì al Ricci indagato è l’ultimo atto del trasformismo in salsa pugliese

Dal 2018 ad oggi, l'ex presidente del Consiglio ha cambiato tre alleanze, ha fatto l'accordo con la Cina e poi con gli Usa, ha magnificato e abbandonato Beppe Grillo, ha abolito il divieto del terzo mandato

Politica - di Paolo Desideri - 31 Luglio 2025 alle 18:48

La sua fortuna sta anche nel cognome che ricorda in maniera subliminale quello dell’allenatore più vincente d’Italia, ma a differenza di Antonio (a proposito, buon compleanno al mister), che pure di squadre ne ha cambiate a suon di milioni ma nella legittimazione del suo status, Giuseppe Conte è un uomo politico. E sarebbe vincolato a una parvenza minima di coerenza, che la sua vita e la sua storia, seppure giovane ma consolidata, quotidianamente tradiscono. Una stagione da versipelle, spregiudicando alleanze, promesse, giuramenti, con un solo, unico obiettivo: rimanere al potere. Chiamatelo Camale-Conte e non vi sbaglierete: la sua pelle politica cambia più in fretta delle sue camicie bianche immacolate. La sua decisione di dare via libera al candidato Ricci nelle Marche, facendo da “pm” politico sulla base della “carte che ho letto”, per poi ricattare il Pd nel resto d’Italia rientra esattamente nella logica istintiva del camaleonte che cambia colore ed epidermide per mimetizzarsi e rendere irriconoscibile le sue stesse idee.

Giuseppe Conte, la genesi

Alzi la mano chi conosceva un altro Conte, al di fuori di Antonio, nella primavera-estate del 2018, quando, dopo avere minacciato Mattarella di impeachment, Luigi Di Maio, perso il sogno di occupare Palazzo Chigi, indicò in Giuseppe, avvocato foggiano e docente di diritto, il nome del premier. Ma la cosa più interessante di quel governo fu l’alleanza: un esecutivo tra i Cinquestelle e la Lega, reso possibile sia dal via libera che Silvio Berlusconi diede a Matteo Salvini, sia soprattutto dalla impraticabilità di tenere insieme pentastellati e Pd. Tanto era stato l’odio negli anni precedenti che formare un governo con gli eredi di Renzi e Bersani era improponibile. E così nacque l’alleanza giallo-verde.

Un anno che fece grande Salvini e indebolì i 5S

In realtà, sul piano politico, quel matrimonio fu un disastro per i Cinquestelle e un successo incredibile per Matteo Salvini. Fu approvato il reddito di cittadinanza(voluto dai Cinquestelle ma che premiò elettoralmente la Lega al sud), fu imposto un embargo alle Ong (che costerà un processo al leader milanese). In pochi mesi il Carroccio riuscirà ad erodere almeno 10 punti al Movimento, tanto da trionfare alle elezioni europee. Fino alla rottura del Papete.

Conte pilatesco sulle navi

Proprio sulle Ong Giuseppe Conte diede il peggio di sé. Appoggiò la politica del Viminale, anche attraverso il suo ministro dei trasporti, Toninelli, fece respingere dalla maggioranza la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini (approvandola nel matrimonio susseguente con la sinistra), salvo far finta di non avere saputo nulla di embarghi e cose varie. Mentre era presidente del Consiglio in carica.

“Questo matrimonio s’ha da fare”: la virata dettata da Renzi

Nell’estate del 2019, mentre Zingaretti dava la parola a Salvini che si sarebbero sciolte le Camere, Matteo Renzi lanciava furbescamente l’idea di un patto di salvezza nazionale per non interrompere la legislatura. Il matrimonio “s’ha da fare”, come non avrebbe detto Don Abbondio ma don Renzi. Dopo sei anni di denunce, scontri, accuse, aggressioni, Pd e Cinquestelle celebravano il secondo matrimonio politico di Giuseppe Conte. Ne bis in idem, ma la marmellata che manteneva l’avvocato del popolo a Palazzo Chigi. L’abbraccio con Matteo Renzi è l’inizio di un secondo mandato che, pochi mesi dopo, sarà segnato dalla valanga del Covid. L’Italia è in ginocchio ma Conte ha in tasca la soluzione per farla riemergere dalla crisi. Il superbonus.

Imitando maldestramente Keynes

Cos’è il Superbonus? Una forma di keynesismo dirà Conte. Lo Stato mette i soldi a debito quando è in coma. Ma per fare cosa? Per finanziare al 110% le ristrutturazioni edilizie ed energetiche. Forse le centinaia di migliaia di alloggi popolari degradati in giro per l’Italia o i centri storici cadenti? No. Le abitazioni private, senza limite di pregio. E chi direbbe no a una misura che gli garantisse non solo la totale copertura dei costi di ristrutturazione ma anche un surplus del 10%? Nessuno. Il Superbonus sarà un disastro per i conti pubblici. Come la politica estera di Conte.

Dalla via della Seta a “Giuseppi”

Il Conte uno celebra una sorta di inversione a U nella geopolitica italiana. Conte promuove, “La via della Seta”, con tanto di arrivo in pompa magna di Xi Jinping in Italia. Dobbiamo guardare alla Cina come punto di riferimento per il futuro è il messaggio subliminale. Ma tra il primo e il secondo mandato si riavvicina agli Usa di Donald Trump, del quale diventa amico. E il tycoon lo chiamerà “my friend Giuseppi”, in un memorabile discorso.

Renzi rompe? Forza Draghi

Poteva un governo eterogeneo reggere sulla presenza determinante di Matteo Renzi, nel frattempo scissosi dal Pd? No, ovviamente. Ed ecco che il politico fiorentino a fine 2020 inizia il logorio contro Conte. L’Italia va male, ci vuole un cambiamento. E così, dopo la benedizione di Beppe Grillo che lo annovererà come “pentastellato”, a marzo 2021 nasce il governo di Mario Draghi. Conte stavolta deve traslocare ma subisce in silenzio. Accetta e vota. Sostiene l’ex governatore della Bce. Ma l’estate è un tranello storico per Conte. E così arriva il luglio del 2022.

Odio l’estate

A luglio del 2022 i Cinquestelle dicono basta. I sondaggi erodono il loro consenso. Draghi non può durare altri 10 mesi. E così, Mattarella non ha altra scelte che sciogliere le Camere. Giuseppe Conte è pronto ad andare da solo alle elezioni, anche perché nel frattempo Luigi de Maio è andato via. Alle politiche di settembre mantiene un consenso dignitoso grazie soprattutto al boom di voti nel sud.

Conte rompe con Grillo

L’avvocato foggiano continua a idolatrare Beppe Grillo. Gli dà una consulenza annua di 300mila euro. Lo elegge come nume tutelare. Ma prima o poi, diceva Freud, bisogna uccidere il padre. Ed ecco arrivare alla rottura del 2024, con l’epilogo di carte bollate e l’ennesima abiura a uno dei dogmi storici: il terzo mandato.

Il terzo mandato abolito

Pressato da Roberto Fico, “Giuseppi” abolisce il divieto del terzo mandato. Che era stato uno dei dogmi dell’antipolitica grilliana. Un sistema che accontenta anche Virginia Raggi e tutti i parlamentari in carica. Anche qui il paragone con il simbolo del trasformismo, Agostino Depretis, sembra persino riduttivo.

Conte, Torquemada o Mastella?

A volte Torquemada, quando esamina i dossier su Milano invocando le dimissioni di Beppe Sala, a volte Clemente Mastella, quando democristianamente benedice Matteo Ricci e ridimensiona le inchieste in corso. La dualità del suo carattere ha qualcosa di mistico. La tentazione della forca non gli è mai passata, ma anche la volontà di potenza, altro elemento psicanalitico non indifferente. Il suo sogno non tanto segreto è quello di tornare a Palazzo Chigi. Una volta, un’altra volta, un’altra volta ancora. In fondo Andreotti lo fece sette volte. Sette, come il numero degli scudetti vinti dall’altro Conte, quello un po’ più serio.

 

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