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Gino Paoli

Il commento

Gino Paoli e i ricordi scomodi, un uomo di sinistra che non nasconde la verità storica

L'intervista del grande cantautore genovese al Corriere della Sera ha disvelato fatti e verità con un coraggio e una lucidità che non si possono non sottolineare

Cronaca - di Sandro Consolato - 29 Luglio 2025 alle 08:53

Gino Paoli a settembre compirà 91 anni. Lunedi 28 luglio il Corriere della Sera ha pubblicato una intervista di Aldo Cazzullo al cantautore che va a comporre una trilogia con quelle, sempre dovute a Cazzullo, del 21 dicembre 2005 e del 15 dicembre 2023. Nell’ultima intervista si ritorna sul “caso Elodie”, generato dalla penultima, in cui, senza peraltro fare alcun nome, l’artista genovese aveva detto: “Un tempo avevamo Mina e la Vanoni, adesso emergono le cantanti che mostrano il culo”. Elodie si sentì chiamata in causa, e i media ne parlarono per giorni, ma poiché quella intervista conteneva ben altro a cui riservare l’attenzione, allora pensammo, parafrasando un noto detto: “Quando Paoli indica col dito le tragedie della storia italiana, il giornalista imbecille guarda il culo di Elodie”.

Gino Paoli, un maestro della canzone italiana

Paoli è un indiscusso e indiscutibile maestro della canzone d’autore italiana, ed è sempre stato di sinistra (precisa però di non essersi mai iscritto al PCI e di aver sempre conservato uno spirito anarchico, che lo avvicina a Leo Ferrè: intervista del 2023). Tale parte politica lo ha avuto a giusto titolo nel suo pantheon culturale, ma sarà l’età, o sarà il nuovo clima più libero creatosi con la crisi della sinistra (e malgrado le inquisizioni e le fatāwā   –  plurale di fatwa, per intenderci – dei Saviano, dei Montanari & Co), l’autore de Il cielo in una stanza (che, ci viene ora spiegato, fu scritta da innamorato di una prostituta delle ancora vigenti case chiuse, su cui il Nostro si esprime con un rimpianto montanelliano) ha deciso di dire quello che ha sempre saputo e pensato, ma non detto mai in modi così espliciti e disturbanti per le orecchie dei “compagni”, ancorché egli rivendichi per sé come innato e costante un genuino spirito anticonformista (“Se voleva intervistare un artista politicamente corretto, doveva andare da qualcun altro” dice a Cazzullo nella nuova intervista).

Il coraggio della verità

L’intervista del 2005 si intitolava “I miei parenti sono finiti nelle foibe”. Paoli ricordava di essere nato nel Nord-Est, a Monfalcone, nel 1934. Il nonno era un operaio delle ferriere di Piombino, socialista e antifascista, ma aveva fatto studiare il figlio all’Accademia di Livorno (ma come: durante il fascismo ai figli del proletariato non era interdetto l’ascensore sociale?), per cui poi questi era giunto ai cantieri di Monfalcone come ingegnere navale, e qui aveva conosciuto e sposato la madre, di una famiglia benestante locale (ma non fascista, precisava allora Gino). Presto la famiglia Paoli si trasferì a Genova, ma nel 1945, raccontava con amarezza, “parte della famiglia di mia madre venne infoibata. […] I partigiani titini, appoggiati dai comunisti italiani, vennero a prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe. Mia madre non ha mai perdonato”.  A quella intervista era presente la figlia Amanda, che interruppe il padre ricordandogli la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema. Il padre annuì, ma le precisò che, contrariamente a quella, “delle foibe non si è mai parlato”, e aggiunse che “la sinistra porta una responsabilità culturale, perché il partito doveva coprire la connivenza dei partigiani rossi con la strategia di Tito”. Ma non si fermava qui: giù a dire ad Amanda delle atrocità commesse in Italia dagli Alleati, delle marocchinate, del massacro dei 127 civili fatto dai bombardamenti su Recco, a cui assistette personalmente a 10 anni e che nella nuova intervista racconta come momento fondamentale della propria vita: quello in cui conosci la possibilità della morte e sei chiamato a superarne la paura per sempre.

Paoli e la storia personale di un uomo libero

In tutte le interviste Paoli – sia chiaro –   non rinnega mai la sua appartenenza alla sinistra, e rivendica pure la sua partecipazione agli scontri di Genova del luglio 1964 per impedire il congresso del MSI, con suo padre incavolato con lui. Un padre di cui con orgoglio raccontava, nel 2023: “Papà comandava il sommergibile Fratelli Bandiera. Ne ho visto uno uguale: pareva una bara. Poi divenne comandante di coperta della Littorio. Quando vide i ricognitori inglesi fotografare il porto di Taranto, portò la sua nave al largo, e la salvò dall’attacco del 12 novembre 1940”.

L’antifascismo di maniera

Paoli anarco-comunista sì, dicevamo, ma tutti i miti dell’antifascismo di maniera sono sbriciolati dalla memoria di un artista che non vuole rinunciare alla verità storica, e quando Cazzullo (ultima intervista) gli ricorda appunto la sua appartenenza ideologica, lui precisa: “Consapevole delle pagine nere della Resistenza. Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti. A Genova, la mia maestra fu additata come collaborazionista: le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le sparano in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Doria”. Lo aveva raccontato, un poco più succintamente, anche nel ’23, e Cazzullo a quel punto: “Ma i partigiani liberarono Genova”.  Ora, sappiamo bene che questo è uno dei miti intangibili dell’antifascismo di sinistra, ribadito anche quest’anno il 25 aprile. Ma Paoli rispondendo a Cazzullo già allora lo faceva a pezzi: «Entrarono dopo che i tedeschi se n’erano andati, senza eseguire l’ordine di Hitler di distruggere la città e il porto. Il comandante della guarnigione e l’arcivescovo Boetto, entrambi massoni, si accordarono per evitare una strage». Anche sul ’68, così caro al suo amico De André, non era tenero in quella seconda intervista: «Era una falsa rivoluzione. Non mi apparteneva. E mio padre mi aveva insegnato che, quando non si ha niente da dire, si deve tacere. Così mi ritirai a Levanto, dove aprii un locale».

Il grande genovese

Come se tutto questo non bastasse, nella nuova intervista il ricordo sconveniente di Ugo Tognazzi, Walter Chiari e Dario Fo. “Tutti accomunati dal fatto di essere andati a Salò. Perché?”, chiede Cazzullo. E la risposta avrà fatto sobbalzare sulla sedia più d’uno: “Perché erano idealisti. Il fascismo è stato anche un ideale. Non possiamo accanirci contro vent’anni di storia italiana; perché Mussolini è nella storia italiana. Il Duce era capace, furbo; sapeva che gli italiani amavano identificarsi con gli eroi. Tutti eroi; o tutti cantautori”.

No, non crediamo proprio che il culo di Elodie sia quello che meriti di fare più rumore nelle interviste di Cazzullo al grande genovese.

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