CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

von der Leyen socialisti green

Aria nuova a Bruxelles

Von der Leyen affossa l’ultima follia green. Disperazione a sinistra: i socialisti si rifugiano nelle minacce

S&D alla presidente della Commissione: «Pronti a toglierle il sostegno». Procaccini: «Non possono più imporre la loro agenda e reagiscono in modo scomposto»

Europa - di Alice Carrazza - 26 Giugno 2025 alle 16:34

Ursula von der Leyen ha commesso il fatidico errore: voler accontentare tutti. Ma nel momento in cui ha scelto il realismo sull’ideologia, i socialisti europei si sono risvegliati come se il mondo non fosse più conforme al loro catechismo progressista. Dopo anni passati a dettare la linea dell’Unione europea col metro della dottrina green e dei diritti arcobaleno, oggi si scoprono marginali. E reagiscono come sempre: con un ultimatum condito dal solito moralismo. Ma il tempo in cui bastava uno slogan sul clima per zittire il dissenso è finito.

Von der Leyen: ritirata strategica sul Green deal

Il casus belli è il ritiro della direttiva sul Green claims, quell’ambientalismo di facciata tanto caro ai salotti di Bruxelles quanto indigesto alle imprese europee. Von der Leyen, cogliendo il vento di destra che soffia sempre più forte a ogni tornata elettorale (soprattutto sulla sua Germania), ha scelto di fermarsi. Non l’ha proclamato, ma l’ha fatto. La Commissione, spinta dal Partito popolare europeo e dai Conservatori, ha tolto il piede dall’acceleratore per tornare al buon senso.

«I socialisti hanno la loro posizione e noi abbiamo la nostra. Non è che i socialisti possono decidere la linea della politica europea» — ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepresidente del Ppe. «Abbiamo il dovere di proteggere le piccole e medie imprese. In Italia sono 4 milioni», ha aggiunto. Poi la stoccata: «Se la sinistra non si preoccupa dei lavoratori, è una scelta sua».

Socialisti in rivolta: ultimatum a Bruxelles

Parole che proprio non vanno giù all’altra parte dell’emiciclo. Tanto che la presidente del gruppo S&D, Iratxe Garcia Perez, si è presentata a Palazzo Berlaymont con un ultimatum tra le mani. Vuole «un’immediata dimostrazione di fiducia» da parte di von der Leyen, altrimenti i voti del gruppo non saranno più garantiti.

La segretaria del Pd Elly Schlein ha fatto eco, alimentando il coro del disagio progressista: «Non siamo disposti ad accettare una politica dei due forni. I nostri voti non possono essere dati per scontati». E ancora: «Se il Ppe non si sente vincolato al patto di maggioranza con le forze pro-europee, tantomeno ci sentiremo vincolati noi».

Un tentativo di ricatto in piena regola insomma, pronunciato da chi ancora crede che l’Europa del 2025 sia quella del 2019. Ma la realtà è che i numeri non sono più dalla loro parte. E neppure l’umore dei cittadini europei.

La toppa del Pride

E mentre i socialisti si agitano, la presidente della Commissione cerca di rabbonirli con un post su X: «Invito le autorità ungheresi a consentire che il Budapest pride si svolga. Sarò sempre vostra alleata». Una carezza arcobaleno per bilanciare il passo indietro sul fronte green. Ma l’effetto è quello di un cerotto colorato su una frattura politica.

La replica di Viktor Orbán non si è fatta attendere: «Gentile signora presidente, esorto la Commissione ad astenersi dall’interferire nelle attività degli Stati membri, in cui non ha alcun ruolo da svolgere». E ha aggiunto che sarebbe meglio concentrarsi su dossier «più urgenti», come «la crisi energetica e l’erosione della competitività europea». Settori, ha puntualizzato il primo ministro ungherese, «in cui ha un ruolo e una responsabilità chiari e in cui ha commesso gravi errori negli ultimi anni».

Procaccini: “Frustrazione da potere perduto”

Nicola Procaccini, europarlamentare di Fratelli d’Italia, ha letto con chiarezza la scena: «Le minacce scomposte dei socialisti si spiegano con l’impossibilità di imporre la loro agenda, come fecero nella scorsa legislatura. Non credo si possa ignorare la democrazia e i popoli europei, che hanno indicato chiaramente quali sono i loro bisogni e le loro priorità».

Anche Manfred Weber, leader del Ppe, ha replicato: «Appena affrontiamo problemi concreti, la sinistra ci accusa di collaborare con l’estrema destra. Il fatto che in futuro le aziende debbano ottenere un’approvazione per la pubblicità ecologica è una grottesca follia burocratica. Non la sosterrò».

Una nuova era: il monopolio ideologico è finito

Il nervosismo della sinistra non nasce solo dalla direttiva sul greenwashing, ma dalla paura di perdere il monopolio ideologico. Per anni hanno imposto ai membri Ue una visione elitaria e autoreferenziale, impermeabile alla realtà economica e sociale. Oggi quella bolla si sta sgonfiando.

Anche Raffaella Paita di Italia Viva, che in Europa è con i liberali di Renew, non certo una sovranista, ha affermato: «Bene che la direttiva sia stata bocciata». Un altro segnale che l’asse politico si sta spostando. E da Berlino, il cancelliere Merz fa di più guarda a ovest, guarda a Trump… non certo verso Greta Thunberg.

Non ci sono commenti, inizia una discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Alice Carrazza - 26 Giugno 2025