
Le relazioni pericolose
Tangenti rosse anche in Spagna: Sánchez nella bufera. Elly rischia di perdere l’ultimo baluardo europeo
I vertici dei socialisti spagnoli sono stati travolti da un'inchiesta per corruzione, dirigenti locali e base sono in rivolta e c'è chi dice apertamente che il premier dovrebbe farsi da parte: «Non ci meritiamo questo»
Un’inchiesta per corruzione esplosiva e l’ultimo baluardo della sinistra europea rischia di saltare. Il premier spagnolo Pedro Sánchez, alleato di Elly Schlein a Bruxelles, è ormai un capitano con la bussola in tilt, che si ostina a restare al timone mentre il barcone socialista imbarca scandali e perde pezzi di ora in ora. Le intercettazioni, trascritte in 490 pagine di indagine e che coinvolgono anche esponenti di spicco del governo, rimandano un quadro di pagamenti pilotati, pressioni, e il sospetto che intrecci di denaro sporco arrivino fino alle primarie del 2014. Così, i leader municipali e regionali del Psoe, pur ancora prudenti in pubblico, in privato non fanno più mistero del malcontento generale: il premier spagnolo è diventato un peso, una zavorra politica che rischia di affondare anche le loro ambizioni elettorali. E vorrebbero che lo capisse da solo.
Lo scandalo corruzione travolge Sánchez: socialisti in rivolta
Le elezioni, salvo scossoni, sono fissate per il 2027. Ma il calendario, si sa, vale poco quando l’urgenza politica bussa alla porta. Giovedì scorso, l’unità centrale operativa della Guardia civil ha scoperchiato il vaso di Pandora: prove che collegherebbero Santos Cerdán, fedelissimo del leader e terzo uomo per importanza nel partito, a tangenti legate a contratti pubblici. In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero provenienti da consulenze per la grande azienda Acciona, utilizzando intermediari come l’ex ministro José Luis Ábalos e il consigliere Koldo García. Uno scandalo in piena regola. Cerdán si è dimesso dalla dirigenza e ha rinunciato al seggio parlamentare, ma il danno ormai era fatto.
Dietro la facciata di sostegno ufficiale, cresce il numero degli amministratori socialisti che temono una disfatta a tappeto. «Non vedo come possa ribaltare la situazione nei prossimi due anni», ha dichiarato a Politico un funzionario municipale socialista, protetto dall’anonimato. «Se dobbiamo perdere il controllo del governo nazionale, tanto vale farlo ora e sfruttare il tempo che ci separa dalle elezioni locali e regionali per dimostrare che abbiamo voltato pagina».
Il premier prova a mettere una toppa, che però non regge
Sánchez ha risposto come suo solito: un discorso televisivo, toni gravi, scuse solenni e l’annuncio di «azioni decise» contro la corruzione. Ma nessuno, neanche tra i suoi, sembra averci creduto. Il premier ha epurato la segreteria del Psoe, messo in pista una squadra di transizione con Cristina Narbona e Borja Cabezón e promesso un audit esterno sui conti. Ma, come ha detto lo stesso funzionario municipale, «è come gettare un bicchiere d’acqua su un incendio in piena furia… Nessuno pensa che queste correzioni interne basteranno a cambiare idea agli elettori».
“Se fossi in Sánchez, non mi ricandiderei”
Antonio Rodríguez Osuna, sindaco socialista di Mérida, è uno dei pochi ad aver rotto il silenzio pubblicamente. Ha chiesto la convocazione di un congresso straordinario per consultare la base sulla leadership. «Se fossi io alla guida, non mi ricandiderei. Non ci meritiamo questo», ha detto, rivendicando «il lavoro onesto di migliaia di sindaci, consiglieri, parlamentari e dipendenti pubblici onesti». Una frattura, dunque, visibile e difficilmente reversibile.
L’uomo che sopravviveva a tutto
Eppure, Pedro Sánchez ha fatto della sopravvivenza politica la sua arte. Cacciato dalla segreteria della sinistra di Spagna dieci anni fa, si fece rieleggere casa per casa. Scalzò Mariano Rajoy con la prima mozione di sfiducia vincente della democrazia spagnola. E, pur uscito sconfitto dalle urne, mantenne il potere con i voti dei separatisti. Ma ora, anche i suoi più accesi sostenitori temono che la fortuna gli abbia voltato le spalle.
Giovedì scorso, al momento di rispondere allo scandalo Cerdán, è apparso stordito. Poi è definitivamente sparito, rifugiandosi nella tenuta fuori Toledo. Niente dichiarazioni, niente incontri. Un silenzio che pesa.
Il politologo: “Lui e i socialisti sopraffatti da una crisi che peggiorerà”
Il politologo Pablo Simón non fa sconti: «Sia Sánchez che il Psoe sono sopraffatti da una crisi che è appena agli inizi e che peggiorerà con l’emergere di nuove prove». A suo dire, i quadri intermedi del partito vorrebbero una transizione. Ma è impossibile: «Sánchez controlla il partito a livello nazionale e ha piazzato ministri fedeli alla guida delle strutture regionali». In altri termini ha blindato la macchina.
Alla conferenza stampa di lunedì, Sánchez ha confessato inoltre di aver pensato alle dimissioni, ma ha deciso che il suo «dovere da “capitano” è prendere il timone e affrontare la tempesta». Simón osserva: «Ha un interesse personale a portare a termine la legislatura e nessuna intenzione di abbreviare il mandato, soprattutto perché non è direttamente coinvolto negli atti di corruzione». Ma sa anche che, se emergessero nuove prove, gli converrebbe affrontarle da primo ministro, non da ex.
Il Partito popolare: «Ha scelto una lenta agonia e alla fine sarà più amara»
Secondo l’esperto, il centrodestra spagnolo non ha alcuna fretta. Anzi. «Il Partido Popular sa che questi scandali stanno logorando i socialisti, e più tempo passa, più anche i partiti che sostengono il governo verranno contaminati agli occhi degli elettori».
Un’opinione confermata dal portavoce del Pp, Borja Sémper: «Una mozione di sfiducia sarebbe un toccasana per il premier. Ha scelto una fine lenta e dolorosa. E alla fine sarà ancora più amara».
Il re nudo e gli altri in fila
Sánchez, oggi, appare come un re nudo in mezzo a una corte che mormora, ma attende la débâcle. Il timore dei suoi è concreto, il malcontento serpeggia e quanti attendono la fine aumentano. Così, mentre la base perde fiducia e i baroni locali contano le perdite, il premier resta aggrappato alla poltrona. Non per visione politica, ma per istinto di sopravvivenza.