
Dai salotti ai vicoli
Sorrentino viscerale. Da La grande bellezza a Parthenope. Cronaca di una discesa agli inferi
La discesa di Paolo Sorrentino dai salotti radical alle viscere di Napoli. La trasformazione del regista campione di incassi
Cultura - di Andrea Moi - 15 Giugno 2025 alle 07:00
Nel palmarès del regista Paolo Sorrentino compaiono Oscar, Nastri d’argento e David di Donatello. Non stiamo parlando di uno qualunque ma di un italiano di talento capace di distinguersi per impegno e qualità. La sua firma è, quasi sempre, garanzia di successo perché ogni opera è cesellata nei dettagli come fosse un libro ragionato. La provocazione è il suo tratto distintivo. Le sue immagini scuotono, intrigano, inorridiscono con tutto il loro magnetismo, il loro carico di significati nascosti, da leggere, interpretare.
La noia decadente
Ci sono due pellicole di Sorrentino dalle quali emerge un mondo elitario, perduto nel suo declino intellettualista. Sono due film annoiati, dove ad annoiarsi sono gli stessi protagonisti. La noia è un tratto fondamentale ne La grande bellezza come in This must be the place. Un tedio che è conseguenza di una vita scalmanata, effervescente che però, con l’avanzare del tempo, non è stata capace di reinventarsi. Emergono cinismo e malinconia in Jep Gambardella che osserva una Roma desolata, silenziosa, affacciato da un’ opulenta terrazza sulle rovine dell’impero, come di fronte allo scivolare di un mondo che prima contava e comandava e ora sembra scomparire. Lo stesso cinismo lo troviamo in Cheyenne, ebreo, cinquantenne, ex rock star di musica goth che si dimena tra ansia e depressione in cerca di una ragione valida e convincente per continuare a vivere.
Nella società della stanchezza di Sorrentino
Jep e Cheyenne sono stanchi e la stanchezza fuoriesce dagli schermi e contamina chi li guarda. Una sensazione artificialmente costruita da Sorrentino che, grazie alla sua creatività, viene trasforma in intrattenimento. È la stessa stanchezza
del protagonista di Oblomov, magistrale romanzo russo di Ivan Aleksandrovič Gončarov. Una stanchezza data dalla mancanza di motivazioni e da un’opulenza sibarita. Altra cosa invece è la stanchezza raccontata dal filosofo Byung-chul Han, quella di una società che si autosfrutta e autodivora, dove la tensione all’iperattività e all’iperproduzione genera il suo contrario arrivando a produrre disturbi di natura depressiva e nevrotica.
Un circolo esclusivo
This must be the place incassa oltre 6 milioni, La grande bellezza più di 25 milioni. Un successo indiscusso. A contribuire alla riuscita sono anche le scelte indovinate degli attori. Tony Servillo che interpreta Jep, Sean Penn che interpreta Cheyenne. Insomma, non due principianti. Va detto però che il mondo rappresentato da Sorrentino è in entrambi i casi un luogo riservato ed esclusivo. È la rappresentazione plastica dei circoli di un ceto alto e ben pensate, logorato dalle sue velleità e vittima dei suoi clichè. I due protagonisti non sanno più cosa dire e cosa dirsi. Attendono la loro fine immersi in una labirintica autoanalisi alla disperata ricerca di significati. Sarà una suora anziana e povera a ricordare a Jep che se vorrà trovare la grande bellezza dovrà cercare tra le radici.
Dal salotto ai vicoli. La discesa nella vita di Sorrentino
Appartengono a un altro universo È stata la mano di Dio e Parthenope. Il regista napoletano attraverso queste due pellicole si cala in una dimensione drammatica e vitale. Il legame della trama con la città di Napoli assume forme viscerali. Si mescolano finzione e realtà raccontando strade ed esistenze in un groviglio pieno di contraddizioni. In È stata la mano di Dio Sorrentino tenta la creazione di una diapositiva archetipale. Vuole descrivere l’anima della città attraverso la sua personale storia di vita. Ed è una storia di coraggio e rivincita che invita a “fare l’ultima bracciata” per ricordare che non ci dobbiamo disunire.
Lo slancio vitale
In Parthenope avviene una discesa agli inferi tra le strade popolate da figure controverse e surreali. Personaggi pieni di inquietudine ma protesi al futuro, al mistero.
Qui Sorrentino rappresenta scenari dove la provocazione, a tratti violenta ed eccessiva, genera sgomento. Un cardinale grottesco, un poeta tormentato, un’attrice in declino e una giovane affascinante ragazza che deve decidere quale direzione dare alla sua vita. In Parthenope si incontrano il Sorrentino della stanchezza e quello della vitalità. L’Attrice in declino sembra provenire dai salotti della grande bellezza. Parthenope sembra provenire dal futuro. Sorrentino esce dal salotto romano di Gambardella e scende nei vicoli di Napoli. Incontra il caldo, il ribollire del sangue, la passione carnale. Una discesa nelle profondità viscerali, bramose, eccitanti dove si incontra la vita in tutte le sue contraddizioni. Jep e Cheyenne non lo avevano capito, Parthenope sì: c’è ancora tanto da dire, da dirsi.
di Andrea Moi