
Braccio di ferro con lo Stato
Savoia alla carica: “I gioielli della Corona ci spettano”. Respinta la causa della famiglia. La storia del “tesoro”
Un contenzioso lungo e complesso con lo Stato. Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta dei discendenti di Umberto II di riavere il "tesoro" custodito nel caveau della Banca d'Italia. Il legale della famiglia Savoia ha fatto ricorso alla Corte di Appello. Pronta a rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Da tempo i gioielli di Casa Savoia sono diventati una disputa legale senza esclusione di colpi. Il contenzioso legale tra la famiglia Savoia e lo Stato italiano per i preziosi reali custoditi nel caveau della Banca d’Italia prosegue. Dopo la decisione del Tribunale di Roma dello scorso 15 maggio di respingere la richiesta dei discendenti di Umberto II di riavere i gioielli della Corona, il legale della famiglia Savoia ha fatto ricorso alla Corte di Appello di Roma.
Gioielli Savoia: il contenzioso con lo Stato
“Ho proposto appello su tutti i capi della sentenza di primo grado ed ho motivato i travisamenti – fa sapere in una nota l’avvocato Sergio Orlando -: le violazioni di legge e le erronee ricostruzioni dei fatti da parte del Tribunale. I gioielli appartengono alla famiglia Savoia e non allo Stato Italiano. Ricorreremo, inoltre, avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la restituzione, da parte dello Stato italiano, di tutti i beni e del valore di tutti gli immobili appartenuti alla famiglia Savoia”.
Il “tesoro” dei Savoia nel caveau della Banca d’Italia
Da tempo gli eredi di Re Umberto, tra cui Emanuele Filiberto ne chiedono la restituzione. Il contenzioso ha avuto inizio nel 2022, quando Vittorio Emanuele, Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice di Savoia hanno avviato un’azione contro la Banca d’Italia, la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Economia, a seguito di un primo rifiuto formale ricevuto nel 2021. Richiesta che è stata appunto respinta dal tribunale. Nel tesoretto custodito a Roma – consegnato alla Banca d’Italia il 5 giugno 1946, tre giorni dopo il referendum costituzionale che portò alla nascita della Repubblica – ci sarebbero i cosiddetti “gioielli di uso quotidiano”: per un totale “di 6.732 brillanti e 2 mila perle di diverse misure montati su collier, orecchini, diademi e spille varie” in un cofanetto a tre ripiani in pelle di colore nero, con una fodera in velluto azzurro.
Valore inestimabile
Impossibile stimarne il valore, anche se qualcuno ha azzardato che potrebbe aggirarsi intorno ai 300 milioni di euro. Ma per il tribunale non sono beni personali, bensì “gioie di dotazione della Corona”, dunque di pertinenza dello Stato. Insomma, una vicenda che dopo quasi ottant’anni è tutt’altro che chiusa. E, dopo l’annuncio dell’avvocato, è pronta per un ulteriore nuovo capitolo.
Tutto ebbe inizio il 5 giugno del 1946
Una vicenda antica. Riavvolgiamo il nastro della vicenda: ”L’anno del 1946, il 5 giugno, alle ore 17 nei locali della Banca d’Italia, via Nazionale n.91 si è presentato il signor avvocato Falcone Lucifero, nella sua qualità di reggente il Ministero della Real Casa con l’assistenza del Grand’Ufficiale Livio Annesi direttore capo della Ragioneria del Ministero suddetto. L’avvocato Falcone Lucifero dichiara di aver ricevuto incarico da sua maestà re Umberto II di affidare in custodia alla cassa centrale della Banca d’Italia per essere tenuti a disposizione di chi di diritto gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette ‘gioie di dotazione della Corona del Regno’, che risultano descritti nell’inventario tenuto presso il ministero della Real Casa e che qui di seguito si trascrivono”.
Gioielli di Casa Savoia mai esposti in pubblico
Questa lunga nota è un documento in carta da bollo da 12 lire – redatto tre giorni dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, che portò alla proclamazione della Repubblica – in cui il ministro della Real Casa su ordine del re Umberto II consegnò al governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, la preziosa cassa con il Tesoro della Corona. La vicenda è ricostruita nel dettaglio dall’Adnkronos. Sono passati quasi 79 anni ed è da allora che i gioielli dei Savoia, custoditi in un cofanetto in pelle a tre piani e protetto da 11 sigilli (5 del ministero della Real Casa e 6 della Banca d’Italia), sono rimasti sepolti nel caveau di via Nazionale. Da allora non sono mai stati esposti in pubblico. E da quel 5 giugno del 1946 è accaduto soltanto una volta, poco prima della morte di re Umberto, che il prezioso scrigno sia stato riaperto.
I pezzi pregiati dei gioielli di Casa Savoia
E’ successo nel 1976 per ordine della Procura di Roma dopo che il giornale “Il Borghese” aveva ipotizzato la scomparsa di alcuni dei famosi preziosi. Ma una volta che si accertò che il tesoro era intatto sulla vicenda tornò a calare il silenzio. Tra i pezzi più importanti figurano un grande diadema a undici volute di brillanti, attraversato da un filo di perle orientali, che negli spazi inferiori ha perle incastonate; in quelle superiori gocce di brillanti incastonati; il tutto per un totale di 11 perle a goccia di grani 720, 64 perle tonde del peso di grani 975, 1040 brillanti del peso di grani 1167. Si tratta della famosa tiara che appare in tutti i ritratti ufficiali della regina Margherita e della regina Elena. (Nella foto la regina Margherita di Savoia indossa il diadema in una foto d’epoca dell’archivio Ansa).
Come risulta dalla perizia svolta dalla maison Bulgari nel 1976 per conto della Procura di Roma, i soli brillanti sono 6.732, a cui si aggiungono 2.000 perle di diverse misure montate su monili di grande valore artistico, tra collier, orecchini, diademi e spille. Ci sono gioielli che risalgono all’epoca di Carlo Felice e di Carlo Alberto. Quanto al valore del tesoro reale, non ci sono cifre ufficiali. Nel 1999 l’Unione Monarchica Italia parlò di 3mila miliardi di lire. Altre ricostruzioni ipotizzano 300 milioni di euro.