
Pendolo impazzito
Referendum, la sinistra oscilla tra “grande risultato” e “sconfitta bruciante”. Da Schlein a Conte ora è “campo schizofrenico”
L'esito del voto manda in tilt l'opposizione: ognuno legge il risultato a modo suo e nel Pd esplodono tutte le contraddizioni
Sintesi, per titoli, di come la sinistra ha accolto l’esito dei referendum: vabbè, è andata così ma «era giusto spendersi nella campagna al fianco dei promotori»; è stato «un grande risultato, la destra esce perdente»; è stata «una sconfitta bruciante» per l’opposizione; è «un punto di partenza» per costruire «l’alternativa al governo»; non era la base per «un’alternativa al centrodestra». Se esistesse un servizio di assistenza psichiatrica per le forze politiche in crollo nervoso, questo sarebbe il momento di attivarlo. Il quadro che emerge dai commenti di fronte al fallimento totale della prova, che ha mobilitato appena il 30% dei votanti, è nel complesso schizofrenico e a tratti segnato da quello che potrebbe apparire come un disturbo dissociativo per negare una realtà troppo dura da mandare giù.
Elly Schlein fatalista carica di ottimismo: «Ne riparliamo alle prossime politiche»
Non è però alle categorie psichiatriche che bisogna rivolgersi per analizzare le reazioni, ma a quelle politiche di chi si trova a dover fare i conti con l’ennesima scommessa persa e non sa proprio più che pesci pigliare. A trovarsi maggiormente in difficoltà sono i vertici del Pd, che sui referendum avevano fatto all-in anche in chiave interna. Elly Schlein si è rifugiata nel fatalismo, ma senza perdere il suo consueto ottimismo. «Peccato per il mancato raggiungimento del quorum, sapevamo che sarebbe stato difficile arrivarci, ma i referendum toccavano questioni che riguardano la vita di milioni di persone ed era giusto spendersi nella campagna al fianco dei promotori», ha detto la segretaria dem, lamentando una «campagna di boicottaggio» e aggiungendo che «ne riparliamo alle prossime politiche».
Boccia entusiasta: «Un grande risultato»
Stesso tema, ma declinato in toni trionfalistici per il suo capogruppo al Senato Francesco Boccia, per il quale «quindici milioni di italiani hanno partecipato dicendo con chiarezza che le politiche del lavoro del governo non vanno e danno una indicazione chiara». «Io penso che sia un grande risultato», ha detto Boccia ai microfoni dei Tg, aggiungendo con sprezzo del ridicolo che «è la destra che ne esce perdente».
Nel Pd si apre la resa dei conti
Ma nel Pd sono in molti a non pensarla così. Per il senatore Filippo Sensi, «referendum sbagliati, rivolti al passato, hanno portato a una sconfitta tanto più bruciante perché tocca la questione del lavoro, identitaria per il centrosinistra». Per l’eurodeputata Pina Picierno si tratta di «una sconfitta profonda, seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre». Per il governatore Vincenzo De Luca, «c’è stato un elemento di ideologizzazione eccessiva, che è stato sbagliato, e una politicizzazione eccessiva, ed è stato sbagliato anche questo». Poi ci sono quelli che cercano di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, come Alessia Morani. Il 30% di affluenza? «Se lo guardiamo dal punto di vista del raggiungimento del quorum è, senza dubbio, un fallimento. Se lo si guarda dal punto di vista dei partecipanti, al di là del merito dei quesiti, occorre registrare un dato positivo, considerato che tutto il centro destra si è astenuto: c’e un popolo in movimento». E quindi? «Non c’è nessuno sfratto al governo, sia chiaro, ma un nucleo di cittadini da cui partire per costruire l’alternativa. Ci vuole realismo e senso della misura. C’è da lavorare, tanto, e la voglia non ci manca. Rimbocchiamoci le maniche!», è stata l’esortazione della fervente Morani.
Il duo Bonelli-Fratoianni pronto a costruire «l’alternativa»
Fiducioso anche il duo Bonelli-Fratoianni, benché abbia ammesso che «quei 13 milioni (che hanno votato, ndr) non sono nemmeno “nostri”, ma di un’Italia che chiede ascolto, che pretende impegno». «Alle prossime elezioni politiche – hanno pronosticato – non ci sarà un quorum a salvare Giorgia Meloni». «Meloni sappia che le persone non si astengono perché stanno con lei, ma perché non credono più nella politica», hanno aggiunto, nient’affatto sfiorati dall’idea che le persone si siano astenute per la politicizzazione della chiamata al voto o anche, semplicemente, perché non ritenevano validi i quesiti. Comunque, per Bonelli, da questo voto si può partire per «costruire un’alternativa».
Conte si guarda bene dal parlare di piattaforme comuni
Non la pensano così in casa M5S, dove Giuseppe Conte si è guardato bene dal toccare il tema, preferendo restare sul merito dei quesiti e sul fatto che non si può voltare le spalle a chi ha votato. Anche Chiara Appendino si è guardata bene dall’affrontare il tema dell’alternativa, limitandosi a parlare delle norme sul lavoro. Più esplicita la deputata Vittoria Baldino, per la quale «non era questo il punto in cui avremmo potuto considerare di far partire una piattaforma di alternativa a centrodestra».
Landini ammette la sconfitta, ma alle dimissioni «non ci penso neanche lontanamente»
E alla fine il più lucido di tutti sembra essere Maurizio Landini, che del resto, benché sia il “padre” di quattro dei cinque quesiti, non è quello che resta col cerino in mano. «Il nostro obiettivo era raggiungere il quorum, non lo abbiamo raggiunto, quindi quella che speravamo fosse una giornata di vittoria non la festeggiamo», ha detto. Poi, certo, ha lamentato la politicizzazione del voto, il fatto che c’è lo si è voluto trasformare in un referendum contro il governo ma che non è stata una sua responsabilità, «ma una scelta di cui abbiamo preso atto». Ma per lo meno ha ammesso la sconfitta, anche se alla domanda su possibili dimissioni ha risposto che «non ci penso neanche lontanamente, non è oggetto di discussione».