Carta canta, urna conta: i voti, in caso di referendum, e li trasforma in oro, soldi, rimborsi per le spese sostenute dai promotori, fino a un massimo di 2,5 milioni di euro in caso di raggiungimento del quorum. Niente male, per la Cgil, che non a caso spinge quasi esclusivamente da sola, per nobili motivi, ovviamente, ma anche per garantirsi un bel tesoretto, previsto dalla legge. Una partita win-win, comunque, quella del sindacato di Maurizio Landini, che in ogni caso verrà rimborsato già per il solo fatto di aver raccolto le firme per dei quesiti referendari regolarmente portati a termine, a prescindere dal risultato. Tutto chiaro, tutto trasparente, tutto da spiegare, magari, pubblicamente.
Referendum e rimborsi, cosa dice la legge
«In caso di richiesta di uno o più referendum, effettuata ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e dichiarata ammissibile dalla Corte costituzionale, è attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di lire mille per ogni firma valida fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e fino ad un limite massimo pari complessivamente a lire 5 miliardi annue, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto», recitano le norme (parlamento.it).
Le spese per la comunicazione le pagano i cittadini
Dunque, anche per i referendum dell’8 e del 9 giugno, il rimborso è di 1 euro per ogni firma valida, con un massimo di 500.000 euro per ciascun quesito, e un tetto complessivo di 2,5 milioni di euro. Ma, come specificato, solo se il referendum raggiunge il quorum. Pertanto, i comitati promotori, come la CGIL per i referendum dell’8 e 9 giugno 2025, avranno diritto al rimborso solo se almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto parteciperà alla consultazione.
Questa condizione è stata introdotta per evitare che fondi pubblici vengano erogati per iniziative referendarie che non raggiungono una significativa partecipazione popolare. Va anche chiarito che il rimborso non è un “premio” per i promotori, ma un indennizzo per coprire le spese sostenute durante la campagna referendaria, come la produzione di materiali informativi, l’organizzazione di eventi e la promozione sui media. La CGIL, ad esempio, ha investito significativamente in campagne sui social media per promuovere i referendum. Ma con le spalle, e i conti, coperti. Le spese per la comunicazione le pagano i cittadini, anche quelli che votano no, anche quelli che si astengono, anche quelli che vanno ai seggi ma non ritirano la scheda.