
Il mostro è servito
Polonia, demonizzazione a comando: la sinistra scatena la macchina del fango contro il nuovo presidente conservatore
Karol Nawrocki eletto democraticamente con un’affluenza record. Ma per certa stampa è già "ultranazionalista, filorusso, anti-Nato": accuse slegate dai fatti, sparate nel mucchio. Perché quando vince la destra, scatta il linciaggio mediatico
In Polonia, il popolo ha votato. E ha scelto. Con un’affluenza che ha superato il 72,8%, Karol Nawrocki è stato eletto presidente della Repubblica. Ma non appena le urne hanno dato il loro responso, si è alzato il sipario sulla solita recita: la demonizzazione dell’avversario politico. È il copione ormai abusato della sinistra europea — e dei suoi circoli mediatici — che, quando perde, non riconosce la sconfitta, la “patologizza”.
Nawrocki vince, la sinistra aziona la macchina del fango
Nawrocki è un conservatore, anticomunista convinto, vicino ai valori nazionali e candidato eletto del PiS — partito alleato di FdI in Europa. Tanto basta per far scattare l’”etichettificio automatico”: «sovranista», «ultranazionalista», «filorusso», «anti-Nato». A seconda della testata, il titolo cambia, la sentenza no. E come sempre, più che la verità, conta l’allarmismo. Il mostro è servito.
La trappola delle etichette
Ma stavolta il giocattolo sembra essersi inceppato: le testate progressiste non riescono a mettersi d’accordo neanche sul mostro da costruire. Chi lo chiama populista, chi lo accusa di essere anti-europeo, chi troppo trumpiano. Peccato che, come ricorda Nicola Procaccini, copresidente del gruppo Ecr, Nawrocki sia stato «uno dei più tenaci sostenitori della causa ucraina, anche come presidente dell’Istituto della memoria dell’epurazione sovietica».
«Nawrocki non è anti Nato e neanche anti europeo», chiarisce l’eurodeputato di Fratelli d’Italia. «Semplicemente ritiene impraticabile, in questa fase, l’ingresso di Kiev nella Nato. Non è una negazione del sostegno all’Ucraina, ma una presa d’atto della realtà, per arrivare alla pace».
Non c’è spazio per le ambiguità nemmeno nel gruppo dei Conservatori europei. «I colleghi polacchi ci hanno chiesto di espellere un eurodeputato andato a Mosca: lo faremo mercoledì», precisa il vicepresidente di Ecr e capodelegazione Carlo Fidanza da Lima, in occasione della plenaria Euro-Lat.
Le accuse a orologeria
L’operazione è la solita: screditare l’avversario prima ancora che assuma l’incarico. Come se la legittimità democratica non contasse più, se il risultato non combacia con l’agenda di Bruxelles. Dagli scandali immobiliari ai presunti festini, fino al tentativo di cucirgli addosso il ruolo di agente di Putin. Un déjà-vu. «È la mostrificazione dell’avversario. Una tecnica odiosa messa sempre in pratica dalla sinistra, a volte con l’appoggio del centrodestra», denuncia Procaccini. E aggiunge: «Non mi sorprenderei se già si stesse preparando il terreno per un attacco giudiziario».
Ma in Polonia, almeno per ora, la magistratura non è piegata all’ideologia. La Corte Suprema esaminerà gli eventuali ricorsi sul voto — che, va detto, possono riguardare solo il processo di voto, non la campagna elettorale. Ma nessuna elezione presidenziale è mai stata annullata.
Un segnale da Varsavia a Strasburgo
La vittoria di Nawrocki non è solo un affare interno alla Polonia. Per Antonio Giordano — deputato e segretario generale di Ecr nonché vicepresidente dell’Idu insieme a Fidanza— è «molto più di un passaggio politico nazionale: è il segnale forte di un’Europa che ritrova sé stessa, riscoprendo le proprie radici, la propria identità e il coraggio di difenderle».
«Il suo successo rafforza il fronte conservatore europeo, dandogli slancio, credibilità e una rinnovata prospettiva», osserva Giordano, ben consapevole che la vera partita si gioca nel Consiglio europeo, dove siedono i leader dei 27. E conclude: «Davanti a noi, una nuova pagina da scrivere. Insieme».
Il significato politico non sfugge nemmeno a Fidanza: «Italia e Polonia sono i due pilastri fondanti del nostro gruppo. Il segnale che arriva da Varsavia è forte. E dimostra che la narrazione secondo cui l’alleanza ‘tutti contro uno’ sia garanzia di governabilità, non regge alla prova dei fatti. Tusk, dopo mesi di arroganza e sostegno smaccato da Bruxelles, ne esce ridimensionato».