
Saltano i ponti
Nuove incursioni ucraine: obiettivo (in) Crimea. La Russia rinvia ancora la tregua: “Sbagliato aspettarsi una svolta”
Mosca cerca una tregua parziale, Kiev rilancia con attacchi mirati, mentre sullo sfondo si muove una partita a più mani, in cui il Cremlino non è il solo a dettare le mosse
«È sbagliato aspettarsi una svolta o soluzioni immediate sull’Ucraina». Le parole di Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, pronunciate all’indomani dei negoziati di Istanbul, non suonano come un rinvio. Sembrano piuttosto un avvertimento. La Russia ha rispedito al mittente la richiesta ucraina di un cessate il fuoco senza condizioni, offrendone una versione ridotta e localizzata: una tregua parziale, di due o tre giorni, su limitati settori della linea del fronte. Mosca insiste sul fatto che la via d’uscita dal conflitto sia «estremamente complessa» e «implichi molte sfumature». A chi legge tra le righe, è un modo per dire che non c’è pace possibile senza concessioni strutturali da parte di Kiev.
Il memorandum di Mosca: niente più “corsi radicali”
Proprio ieri, l’agenzia Tass ha pubblicato la bozza di memorandum trasmessa dalla Russia a Kiev. Il testo è una dichiarazione d’intenti mascherata da proposta: chiede che l’Ucraina abbandoni il suo «corso nazionalista radicale», offra garanzie ai cittadini di lingua russa e ritiri le sue truppe da tutte le «regioni russe», comprese quelle annesse dopo il 2022.
«Tutto mira a sbarazzarsi delle cause alla radice del conflitto e a metterlo su una pista di insediamento sostenibile», ha ribadito Peskov, evocando una «pace» che però presuppone la resa dell’avversario.
La Crimea brucia (di nuovo)
Nel frattempo, Zelensky alza il tiro. Il Servizio di sicurezza ucraino (Sbu) ha rivendicato con un video il terzo attacco al ponte di Kerch, simbolo proprio dell’annessione russa della Crimea. «Senza vittime tra la popolazione civile, alle 4:44 del mattino è stato attivato il primo ordigno esplosivo», recita la nota, che quantifica in 1.100 kg l’esplosivo impiegato per danneggiare i piloni subacquei.
«Non c’è posto per strutture russe illegali sul nostro territorio. La Crimea è Ucraina e qualsiasi manifestazione di occupazione riceverà la nostra dura risposta», ha dichiarato il capo del terzo servizio di intelligence del Paese, Vasyl Malyuk. Per Mosca però, è un atto di sabotaggio terroristico.
Sabotaggi e vendette per Putin
Tuttavia nella giornata di domenica, sette persone sono morte e decine sono rimaste ferite nel deragliamento di un treno passeggeri in territorio russo, dopo l’esplosione di un ponte ferroviario. Secondo il Comitato investigativo russo, «i terroristi, agendo su ordine del regime di Kiev, hanno pianificato tutto con la massima precisione affinché centinaia di civili innocenti cadessero sotto i loro attacchi».
Alle prime ore del giorno, una serie di droni ucraini hanno poi lasciato al buio Kherson e Zaporozhye. 457 insediamenti senza corrente. Oltre 600.000 persone colpite. Le autorità locali, come Vladimir Saldo e Yevgeny Balitsky, parlano di danni gravi ma parzialmente contenuti. Gli ospedali funzionano con generatori. Le stazioni di pompaggio sono alimentate d’emergenza. La Russia – stavolta – sembra avere imparato a reggere l’onda d’urto. Ma fino a quando?
La Cina non vuole la pace
Se la guerra è una partita a scacchi, Pechino gioca su un’altra scacchiera. La Russia si scopre sempre più dipendente dal Dragone, e Xi Jinping non ha alcun interesse a che il conflitto finisca. Un riavvicinamento Mosca-Washington, anche solo su un tavolo negoziale, mette in discussione l’equilibrio strategico economico e geopolitico — si pensi all’Artico e all’Africa — tanto coltivato dal Dragone.
Il giorno della Vittoria, Putin ha dedicato molte attenzioni a Xi. Non era cortesia diplomatica. Era subordinazione geopolitica. E mentre l’Europa si agita attorno alla questione russa, la Cina osserva, calcola e capitalizza. Eppure c’è qualcosa di insolito. La sinistra europea – quella che si mostra indignata contro Mosca – intanto ammicca a Pechino. Come la visita del premier spagnolo Pedro Sánchez: in apparenza un viaggio istituzionale, in realtà un segnale di servilismo ideologico.
L’ipocrisia della sinistra: anti-russi ma pro-Cina
La coalizione dei «volenterosi» anti-Putin, capitanata oggi dal laburista Keir Starmer, si mostra zelante nel condannare la Russia, ma al tempo stesso è timida nel criticare la Cina. Perché? Perché la Cina conviene. È un mercato, un partner, un sorvegliante. E nella logica del potere, le convenienze prevalgono sulle coerenze. Dunque, a che gioco stanno giocando? A quello di Pechino: mantenere la Russia isolata, lasciare che l’Occidente litighi su chi deve mediare, e raccogliere i dividendi del disordine.
Ma…«C’è molta impopolarità nella guerra. C’è molta impopolarità di questi leader. Persone come Starmer e Macron sono disprezzate a casa, hanno indici di approvazione molto bassi», ha spiegato Jeffrey Sachs, economista americano, professore e direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University.
L’Europa e la pace che non arriva
Mentre il commissario europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, ci prova e chiede di «cambiare mentalità» e passare dalla pace attesa alla pace costruita.
«Dobbiamo creare una vera Ue della difesa», ha detto Kubilius. «Una difesa europea è possibile solo se saremo uniti». E ancora: «Stiamo affrontando una crisi di sicurezza e il Trattato ci dice non solo che possiamo creare questa politica, ma che abbiamo il dovere di farlo».
L’Italia guida la linea del realismo
In questo scenario, l’Italia emerge con un posizionamento pragmatico. «Sull’eventuale invio di soldati europei in Ucraina, alla fine mi sembra che la posizione dell’Italia abbia prevalso: nessuno ne parla più», ha dichiarato Antonio Tajani.
Infine, il premier slovacco Robert Fico in visita a Palazzo Chigi per un incontro con Meloni fa il punto: «Io sono tra quei politici dell’Unione che sostengono pienamente l’idea di un cessate il fuoco». E chiude il cerchio: «Credo che ci siano paesi nell’Ue che vogliono prolungare questa guerra con l’idea che sia il modo per danneggiare la Russia. Io non credo che questa strategia funzioni».
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