
Il fattore psicologico
L’Iran attacca Israele di notte per nascondere la sua debolezza e per giocare sul fattore dello spavento
L’Iran sta cercando di battere Israele usando un fattore psicologico. Secondo un’analisi del Jerusalem post, c’è un motivo specifico dietro gli attacchi missilistici lanciati nella notte da Teheran verso lo Stato ebraico. Si tratta di una strategia capace di combinare le esigenze operative, i limiti tecnologici e un tentativo di incrementare l’impatto “mentale” sul nemico. Col favore delle tenebre, l’Iran riesce a ridurre la probabilità che le sue postazioni vengano scoperte dai satelliti spia e dai velivoli di sorveglianza nemici. Ma non solo, perché molti missili a lungo raggio iraniani, come gli Shahab, richiedono processi di rifornimento difficili e pericolosi, che li rendono vulnerabili se condotti alla luce del sole. Il carburante liquido con cui vengono alimentati questi armamenti è un “tallone d’Achille” per l’esercito di Teheran, che però può contare anche su missili più agili come i Fateh-110 o gli Zolfaghar, alimentati a combustibile solido.
Perché l’Iran attacca Israele di notte?
Per gli iraniani, colpire durante la notte vuol dire innescare un meccanismo di paura e caos. Teheran conta sul sentimento di terrore provocato dalle sirene che suonano in un orario improbabile e dalle luci dei sistemi di difesa che intercettano i missili. Questi eventi amplificano l’impatto emotivo sugli abitanti e inviano un messaggio forte ai governi ostili come quello israeliano, anche se alla fine gli attacchi si rivelano inutili. La scelta dell’attacco notturno mira quindi a garantire la conservazione dei vettori e ad enfatizzare l’effetto sorpresa.
Anche i missili iraniani veloci sono difettosi
I missili Fateh-110 e gli Zolfaghar sono già pronti al lancio e possono essere trasportati su mezzi mobili o utilizzati per un’offensiva inaspettata. Tuttavia, questi dispositivi balistici hanno anche dei difetti, visto che una volta attivati non possono essere fermati. Tutto ciò rende piuttosto delicata ogni scelta d’utilizzo. Inoltre, entrambi i sistemi hanno un bisogno tecnico comune, ossia il trasporto di ossidante assieme al carburante, visto che operano in altitudini dove l’ossigeno atmosferico è assente.