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Francesco Cecchin, 46 anni dopo: la veglia per non dimenticare un pezzo di storia italiana. “Di padre in figlio”

Non una memoria di parte

Francesco Cecchin, 46 anni dopo: la veglia per non dimenticare un pezzo di storia italiana. “Di padre in figlio”

Politica - di Romana Fabiani - 16 Giugno 2025 alle 19:29

Aggredito e scaraventato giù da un muretto di 5 metri, “con le chiavi strette in mano, strano modo per morire”, come recita Generazione ’78 di Francesco Martinelli. Era il 28 maggio 1979, Francesco Cecchin giovanissimo militante del Fronte della Gioventù, appena 17enne, morirà dopo 19 giorni di coma il 16 giugno. Sono passati 46 anni da quel giorno maledetto, scaturito dall’odio ideologico degli anni di piombo, quando la destra politica non aveva diritto a esistere e ‘uccidere un fascista’ non era reato. Da allora un’intera comunità, i suoi coetanei oggi sessantenni, ma anche giovani militanti di Gioventù nazionali nati decenni dopo, lo ricorda con una veglia simbolica davanti a quel muretto, a due passi da piazza Vescovio.

Francesco Cecchin 46 anni dopo, per non dimenticare

Anche quest’anno erano in tanti per non dimenticare. Momenti di raccoglimento, ricordi, riflessioni, canti e letture. Poi nel pomeriggio il consueto rito del presente, con la mano portata al cuore. Ma Francesco, come tutti i caduti di destra e sinistra in quel vortice di guerra civile strisciante, non deve essere confinato nel ricordo di una parte, ma diventare – questa la scommessa – memoria dell’intera comunità nazionale perché protagonista innocente di un pezzo di storia d’Italia.

Rampelli: da lì per costruire il futuro dell’Italia

“Ha un senso essere massacrato di botte e gettato da un muretto a 17 anni solo perché militante del Fronte della Gioventù? Ha un senso morire a causa delle proprie idee quando avresti tutta la tua vita davanti? No, non lo ha, ecco perché il significato di quel sacrificio germoglia ogni anno a Roma, in Piazza Vescovio”, scrive su Facebook Fabio Rampelli. “Il senso di quel vuoto incolmabile – aggiunge il vicepresidente della Camera all’epoca 19enne – siamo noi che non smettiamo di tramandare la storia di Francesco di generazione in generazione. E di costruire sulla memoria sua e dei tanti nostri martiri innocenti il futuro dell’Italia, fatto di riconciliazione, armonia e futuro. Un passato che si rigenera per l’eternità, di padre in figlio”.

Rocca: ricordarlo per rifiutare il fanatismo

La sua storia “è simbolo di un’Italia segnata dall’odio ideologico e dalla violenza politica. Un caso mai chiarito, tra silenzi e insabbiamenti. Ricordarlo oggi significa – è il ricordo del governatore del Lazio, Francesco Rocca- scegliere il confronto civile, rifiutare ogni fanatismo, e chiedere verità e giustizia. Perché nessuno debba più morire per le proprie idee”.

Alemanno: la famiglia e la comunità nella disperazione

Anche Gianni Alemanno dal carcere ricorda l’amico Francesco con una lunga lettera (“Diario di cella”), in cui ricorda i particolari dell’aggressione, la morte che lasciò “la famiglia e la comunità militante nella disperazione”, la giustizia negata.  L’ex sindaco di Roma raccolse prove e tante testimonianze per contestare la tesi vergognosa della stampa che negava l’aggressione sostenendo la narrazione dell’incidente. “Dimostrammo al mondo che Francesco non solo era stato aggredito ma era stato gettato esanime da un balcone condominiale. Omicidio volontario, compiuto per mano di militanti comunisti con cui Francesco aveva avuto più di uno scontro, per il quale nessuno ha mai pagato”. Giustizia lenta, indagini tardive, processi farsa complici gli intellettuali di sinistra e la stampa ‘amica’ nel nome dell’antifascismo militante.

 

 

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di Romana Fabiani - 16 Giugno 2025