
Viaggio fra i patrioti
A cento anni dalla nascita, perché onorare Giovanni Spadolini: il repubblicano che più di altri ha “amato il Tricolore”
Un secolo dalla nascita del primo premier laico della Repubblica: rigore, cultura, amore per la bandiera e la lezione attuale di una figura fuori dal coro ma dentro la storia
Sarebbe un peccato mortale non riconoscere il grande valore politico e intellettuale di Giovanni Spadolini, il primo premier “laico” della storia della Repubblica e, fino al 1994, presidente del Senato unanimemente rispettato da tutti i partiti, compresi quelli che non lo avevano votato.
Giovanni Spadolini: giornalista, repubblicano, uomo delle istituzioni
Repubblicano, giornalista che ha diretto il Corriere della Sera, e uomo delle istituzioni. Un patriota in quanto mazziniano e un mazziniano in quanto patriota. Un fiorentino orgoglioso. Federico Bini e Giancarlo Mazzucca hanno voluto rievocare la sua figura con Giovanni Spadolini. L’ultimo politico risorgimentale (Rubbettino, 2025).
Una voce fuori dal coro, mai fuori spartito
«Una voce fuori dal coro», ma mai fuori spartito. Un uomo leale alla sua epoca e alle sue liturgie. Tant’è che proprio mentre la Seconda Repubblica – seppur tra tante contraddizioni – prendeva vita, e la Prima tramontava tra picconate e inchieste giudiziarie, fu candidato delle forze del futuro centrosinistra alla presidenza dell’aula di Palazzo Madama per essere sconfitto, con un solo voto di scarto, dal liberale Carlo Scognamiglio.
L’ultima battaglia, poi la scomparsa
Una scelta di campo naturale, in fondo. Spadolini morirà appena qualche mese dopo, il 4 agosto del 1994, a neanche settant’anni di età. Con lui, probabilmente, è andato via l’ultimo erede diretto del XIX secolo, la stagione che ha fatto l’Italia e lo Stato. Fase storica che – lo ha ricordato su questo giornale il compianto Giuseppe Parlato – ha visto la destra protagonista. Anche per questo motivo, onorare Spadolini potrebbe giovare a riprendere il filo di un racconto storico-politico che ha radici lontane e un immaginario profondo.
Il “segretario fiorentino”, secondo Montanelli
A cento anni dalla nascita (21 giugno 1925), vale davvero la pena ricapitolare la vicenda pubblica del «segretario fiorentino» – così era stato definito da Montanelli alludendo chiaramente al concittadino Machiavelli – attraverso gli scritti e i tanti aneddoti che lo riguardano.
L’eredità liberale e democratica
Una rilettura utile a «ripercorrere la storia degli uomini e delle idee – scrive Lamberto Dini nella prefazione – che fecero l’Italia, il cammino del miglior pensiero liberale e liberaldemocratico». Una figura che «ci aiuta – insiste Dini – anche a ripercorrere tappe istituzionali fondamentali di quel passaggio alla Seconda Repubblica di cui lo statista repubblicano, scomparso troppo presto, poté vedere solo gli albori. Mentre avrebbe potuto dare un contributo significativo anche a quella nuova fase istituzionale che lui non definì mai Seconda Repubblica, ma sempre “seconda parte della Repubblica”.»
Cultura e politica come binomio inseparabile
Il saggio di Bini e Mazzucca, gustoso nella scrittura e puntuale nel contenuto, può e deve interessare anche chi, legittimamente, non si riconosce nella vicenda di Spadolini, e in lui però può trovare la conferma di alcuni valori fondamentali: la passione civile e l’amore per la bandiera. «Con Spadolini si chiudeva un’epoca, la sua, che fu, mazzinianamente, un’epoca di “pensiero e azione”: quel nesso imprescindibile – si legge – tra cultura e politica che sempre animò la condotta pubblica e privata del Nostro».
L’ultimo barlume del Risorgimento
Ed è «impossibile scindere le due sfere in uno degli uomini più rappresentativi della Repubblica, la cui vita, privata ma anche pubblica, venne indirizzata al servizio delle istituzioni culturali, civili e politiche del Belpaese. In lui visse l’ultimo barlume, l’ultimo battito, l’ultimo fremito dell’Italia del Risorgimento, quella che ancora si emozionava per le imprese di San Martino ma anche per gli eroi di Caporetto».
Il patriottismo del tricolore
«Stringeva il tricolore e lo esponeva fiero sapendo che tra le mani non aveva una tela qualsiasi ma la responsabilità di onorare milioni di morti caduti per fare lo Stato e garantire un futuro di libertà e democrazia. In tempi in cui il tricolore sapeva molto di rigurgiti nazionalisti, lui lo esibiva come manifestazione e tributo patriottico ai suoi miti, da Mazzini, Garibaldi e Cavour. In molti, nella storia della Repubblica, guardano a Carlo Azeglio Ciampi come al presidente che dal Quirinale sdoganò il tricolore. In realtà, questo avvenne già, prima proprio grazie a Giovanni».