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Trump, le alleanze e la scacchiera internazionale. La direzione sta nell’appello: “Make West Great Again”

Scenari

Trump, le alleanze e la scacchiera internazionale. La direzione sta nell’appello: “Make West Great Again”

Riallineamenti globali, Europa in ritardo e il ruolo sobrio (ma centrale) di Giorgia Meloni

L'Intervento - di Antonio Giordano* - 4 Maggio 2025 alle 07:15

Ho letto con attenzione l’articolo di Kaush Arha, presidente del Free and Open Indo-Pacific Forum e senior fellow presso l’Atlantic Council. Con una importante esperienza in seno alla prima amministrazione Trump, Arha offre una lettura lucida e ben articolata delle prospettive geopolitiche ed economiche che si aprono per gli Stati Uniti. L’articolo è stato pubblicato sul sito della rivista americana The National Interest il 2 maggio 2025, con il titolo Why the U.S. Needs European and Indo-Pacific Trade Deals to Counter China.

Secondo Arha, in un momento in cui gli equilibri del commercio globale sono messi in discussione, il presidente Donald Trump ha di fronte a sé l’opportunità di concludere una serie di accordi commerciali strategici con l’Unione Europea, il Giappone, l’India e il Regno Unito. Si tratta — scrive l’autore — di economie avanzate e affini per interessi e valori, che rappresentano oltre metà del PIL mondiale e che si dimostrano disponibili a rafforzare i propri legami con gli Stati Uniti. Dopo una stagione di dazi ampi e controversi, che hanno generato insicurezza nei mercati e malcontento tra consumatori e produttori, Arha sottolinea come oggi l’attenzione si stia spostando verso strumenti più efficaci e costruttivi: accordi commerciali fondati sulla trasparenza e la reciprocità.

In particolare, Arha evidenzia come l’Unione Europea si confermi il partner economico più rilevante per Washington. USA e UE condividono — ricorda — la relazione economica più ampia e bilanciata al mondo, con effetti diretti sull’occupazione e sugli investimenti. Secondo l’autore, le premesse per un’intesa esistono già: dichiarazioni favorevoli da parte di Trump e della premier italiana Meloni, aperture da Francia e Germania, e segnali incoraggianti da parte di Giappone, India e Regno Unito.

Il fronte delle democrazie “sorelle”

La logica strategica, afferma Arha, è chiara: un fronte compatto tra democrazie industrializzate è oggi lo strumento più solido per contenere l’espansionismo economico cinese e ridurre la dipendenza dalle sue catene di fornitura. I dazi generalizzati, secondo lui, si sono rivelati inadeguati a rafforzare l’industria americana; al contrario, strumenti mirati come dazi temporanei, incentivi intelligenti e investimenti pubblici in ricerca e sviluppo appaiono oggi come le vie più efficaci.

Infine, Arha sottolinea come gli Stati Uniti conservino una posizione di leadership tecnologica e finanziaria senza pari. Se questa forza verrà esercitata in sinergia con alleati fidati — conclude — potrà rilanciare la crescita globale e rafforzare la sicurezza economica collettiva. Il bivio per Trump, secondo l’autore, è evidente: essere ricordato per una guerra commerciale inefficace o per aver inaugurato una nuova fase di cooperazione resiliente e vantaggiosa con le principali democrazie del mondo. Consiglio a tutti di leggere la versione integrale dell’articolo di Kaush Arha, e vi propongo di seguito qualche mia riflessione personale.

L’azione costituzionale di Trump

Negli ultimi anni ho partecipato spesso agli incontri del mondo repubblicano negli Stati Uniti, cercando di comprendere da vicino il funzionamento della loro politica. La mia opinione è che Donald Trump stia semplicemente utilizzando gli strumenti che la Costituzione americana mette a disposizione di chi ha titolo per esercitare la leadership. Potrebbero sembrare forzature, ma si tratta in realtà di una dinamica propria di un sistema che — pur con tutte le sue contraddizioni — è probabilmente la principale ragione per cui gli Stati Uniti restano la prima potenza mondiale.

Si tratta di un assetto in cui chi governa può imprimere un indirizzo chiaro e coerente con il mandato elettorale, ed è poi chiamato a risponderne agli elettori con maggiore frequenza, come accade anche con le elezioni di medio termine. In Europa, al contrario, ci troviamo spesso di fronte ad architetture istituzionali che consentono governi che possono rimanere più a lungo in carica senza verifica (non è il caso dell’Italia, ovviamente, dove la cornice costituzionale rende strutturalmente debole l’esecutivo e ne condiziona pesantemente la stabilità), ma che comunque rendono faticoso e ritardato l’esercizio della leadership.

Il risultato, troppo spesso, è una lentezza di azione e reazione. Questo è ancor più evidente a livello dell’Unione Europea, che non ha ancora trovato un equilibrio sostenibile tra le pulsioni di omologazione promosse dalle sinistre — tese a uniformare forzatamente i cittadini europei sotto l’ombrello di politiche ideologiche utopistiche e quindi incoerenti con la realtà — e la visione delle destre, che valorizza l’identità degli Stati nazionali, uniti e coesi al loro interno da culture millenarie. Stati che possono e devono cooperare, condividere interessi e sviluppare collaborazioni, ma all’interno di un quadro che ne rispetti la natura e le differenze. Finché l’Unione Europea inseguirà il sogno tecnocratico dell’unificazione forzata, continuerà a muoversi con una lentezza che ci rende incomprensibili agli occhi di Washington e sempre meno competitivi nello scenario globale. L’esempio più evidente è l’iper.regolamentazione dell’intelligenza artificiale: per quanto ispirata da buone intenzioni, se ostacola la nascita di un grande polo europeo dell’innovazione, finisce per rallentare l’intero continente rispetto allo sviluppo mondiale.

Gli Usa isolati? Macché

Tornando agli Stati Uniti, non possiamo che prendere atto che la politica di Donald Trump ha riportato l’America prepotentemente al centro delle dinamiche globali. Condivido la lettura di Kaush Arha. Aggiungo che il tempo potrebbe dirci che siamo di fronte alla strategia di un leader che, dopo aver avuto modo di riflettere tra il primo e il secondo mandato, potrebbe oggi avere piena consapevolezza della necessità di una revisione delle grandi alleanze internazionali ai fini di una riconferma consapevole e che potrebbe avere l’urgenza di intervenire con tempestività, affinché i risultati si concretizzino prima delle prossime elezioni di medio termine. Va anche osservato, infine, che l’attuale debolezza del WTO non deriva dalla sua struttura in sé, ma dagli squilibri interni e persistenti tra i suoi membri. Ed è proprio per questo che l’organismo andrebbe profondamente ripensato e rafforzato, attraverso una revisione del suo patto fondativo.

L’intesa con Meloni: tutt’altro che un dettaglio

L’individuazione di Giorgia Meloni come interlocutore affidabile non è un dettaglio marginale nell’analisi dell’azione del Presidente americano. A mio avviso, Donald Trump ha riconosciuto in lei la figura più efficace a un potenziale tavolo di trattativa. Meloni, da parte sua, ha accettato questo ruolo senza cercare visibilità personale — d’altra parte, non ne ha certo bisogno — mantenendo una linea chiara su questioni cruciali come il sostegno all’Ucraina e senza mai mettere in discussione l’appartenenza dell’Italia al fronte europeo. È proprio questo atteggiamento sobrio e determinato che ha rafforzato il suo prestigio e la sua credibilità come possibile facilitatrice di una nuova intesa tra Stati Uniti e Unione Europea.

Credo che si debba guardare con attenzione e senza pregiudizi questa fase di riallineamento internazionale per immaginarne gli sviluppi. Di sicuro, il trend che vedeva inesorabilmente la Cina superare gli Stati Uniti e attori autoritari come la Russia e la Corea del Nord farsi sempre più sicuri di sé sembra subire un’inversione significativa. Non è detto che tutto si compia rapidamente, né che ogni tassello trovi subito il suo posto, ma è evidente che i segnali di movimento ci sono e meritano di essere osservati. Più che giudicare gli eventi in base alle loro conseguenze immediate, dovremmo forse provare a coglierli per ciò che prefigurano — come accade in una partita di scacchi, e non è un caso che si parli di scacchiere internazionale — dove non conta solo l’esito della mossa del momento, ma la capacità di prevedere le opzioni che potrebbero aprirsi.

L’invito di Meloni – “Make West Great Again” – dove l’Occidente viene inteso come un’alleanza culturale e valoriale, è senz’altro la sintesi più auspicabile delle aspettative per il nostro prossimo futuro.

*Segretario generale di Ecr – deputato di Fratelli d’Italia

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