
Compromesso dem
Referendum, Pd spaccato sul Jobs act. Il correntone riformista contro Elly: ci asteniamo. E Renzi se la ride
Referendum, Pd spaccato a metà come una mela. Se si esclude un briciolo di unità nella crociata contro l’astensione annunciata dal centrodestra, in casa del Nazareno è buio fitto. A rovinare il sonno a Elly Schlein il quesito referendario sul Jobs act che la segretaria ha sposato fin dall’inizio in obbedienza ai diktat di Maurizio Landini. Il leader della Cgil continua a ripetere che il quorum per il referendum dell’8 e 9 giugno è “assolutamente raggiungibile” ma tanto ottimismo non trova riscontri nella realtà. La svolta radicale e massimalista di Schlein anche in questo caso le costa la rivolta della minoranza interna e non solo.
Il Jobs act fa litigare i dem, Schlein in un vicolo cieco
Non tira un’aria serena. Il correntone di minoranza guidato da Stefano Bonaccini, è pronto a farsi sentire mandando all’aria i sogni “testardamente unitari” della segretaria. L’intenzione è di votare sì al quesito promosso da +Europa e a quello sui subappalti. Sugli altri, che hanno nel mirino il Jobs act, antico ‘capolavoro’ di Renzi, la maggior parte dei riformisti non ritirerà nemmeno le schede. Nulla di ufficiale, ovviamente, per non mettere in piazza lo strappo. “Energia popolare è intenzionata ad astenersi ma per ora si trincera dietro un generico e non belligerante appello alla libertà di voto. Del resto la segretaria malconcia, che con raro senso del ridicolo continua a voler dare lezioni al governo Meloni, ha chiesto esplicitamente nell’ultima direzione di non fare campagna per l’astensione. “Il Pd supporta tutti i referendum e chiede di invitare tutti a votare, anche chi voterà diversamente, ma io non chiedo abiure a chi non li ha firmati e a chi non dirà sì a tutti i quesiti”.
Il compromesso, la segretaria non chiedo abiure…
L’ordine è chiaro, pena la scomunica, almeno a parole. Del resto Elly sul quesito ammazza Jobs act ci ha messo la faccia, ha raccolto le firme, si è fatta immortalare sorridente insieme a Landini e ora si trova in un cul de sac. Ancora una volta l’unica via di fuga è il compromesso. Schlein non ha la forza di pretendere abiure e, in cambio, i riformisti evitano di ufficializzare il no ai referendum sul lavoro. Emblematica la dichiarazione di Alessandro Alfieri: “La strada maestra per un tagliando alla legge sul Jobs act è il Parlamento”. A fare da paciere ci prova Andrea Orlando. “I quesiti referendari non devono essere una rivincita sul Jobs act, ma l’occasione per chiudere una stagione in cui si è pensato che la competitività si potesse realizzare con maggiore flessibilità e la svalutazione del lavoro”.
Il correntone di minoranza è pronto all’astensione
Ma non è tutto perché ad astenersi non ci sono solo i riformisti. Dario Franceschini, solo per fare un esempio, non ha firmato quei quesiti. A sfilarsi dalla crociata della Cgil anche il presidente dell’Anci Gaetano Manfredi che ha detto apertamente che si asterrà. Laconico il sindaco di Milano Beppe Sala che preferisce dichiarare solo sul quesito che riguarda la cittadinanza. Insomma per la segretaria dem è un’altra tegola. Sa bene che l’asticella del quorum è troppo alta così si è rifugiata nel solito schema: attaccare comunque il governo Meloni. Eternamente in bilico, con mezzo partito in fibrillazione, gioca la carta (perdente) della rivincita. Ossessionata dalla spallata a Palazzo Chigi lancia una nuova sfida: raccogliere un numero di “sì” più alto dei voti ottenuti dalla maggioranza alle ultime elezioni politiche. Se l’aritmetica dovesse esserle favorevole potrebbe dire che l’opposizione ha più voti della maggioranza. Un gioco pericoloso.
Moretti: il non voto è un segnale di debolezza
Poi c’è chi insiste con il racconto della maggioranza ‘antidemocratica’. “L’appello al non voto della destra è un segnale di debolezza nonché un preoccupante indizio dei tempi che viviamo. Le minacce alla democrazia sono molteplici e i cittadini hanno nel voto la possibilità di esercitare un diritto costituzionale”. Parola di Alessandra Moretti che aggiunge: “Non è un referendum sulla Meloni, come vorrebbero farlo diventare”. Ovvio che non abbia interloquito con la segretaria. Da qui all’8 giugno la confusione non potrà che aumentare con buona pace di Schlein per la quale, come ha detto brindando al suo 40esimo compleanno, la priorità è il “fattore umano”.