
Sesta edizione
Premio M.ARTE: all’auditorium di Roma emozioni e applausi come nei talk show di una volta
Il Premio M.ARTE, giunto alla sua sesta edizione, ha fatto centro anche stavolta. All’appuntamento all’Auditorium Parco della Musica di Roma, anche quest’anno sono state premiate alcune personalità di spicco del mondo del giornalismo, della cultura, dell’arte e della società civile.
La rotta tracciata dall’associazione presieduta da Vittorio De Pedys è chiara da tempo: “Valorizzare e promuovere il dialogo culturale, l’impegno artistico e sociale, favorendo la diffusione dei valori che animano da sempre il progetto di M.ARTE APS”.
Non a caso l’evento, promosso dall’associazione M.ARTE e dalla Fondazione Alleanza nazionale, gode del patrocinio di istituzioni del livello di Senato della Repubblica, Camera dei deputati, Presidenza del Consiglio dei ministri e Regione Lazio.
Chi si aspettava dalla cerimonia di lunedì 19 maggio una mera e protocollare consegna di premi, è rimasto piacevolmente sorpreso dalla brillantezza e del ritmo della serata, grazie anche alla conduzione garbata e puntuale delle giornaliste Antonia Varini e Maria Pia Pezzali.
Niente a che vedere con le cerimonie paludate, che si trasformano spesso in una stucchevole passerella di testimonial e foto con premio in mano e avanti un altro. Provate a immaginare, piuttosto, una bella puntata di un vecchio Maurizio Costanzo Show. Qualche esempio? Delizioso, tra i tanti, il siparietto tra Giordano Bruno Guerri (premiato per la sezione Cultura) e il presidente della Fondazione Alleanza nazionale Giuseppe Valentino sul chilometro di Reggio Calabria, “il più bello d’Italia” nella citazione dannunziana. Lo stesso storico e saggista, sollecitato dal direttore del Tempo Tommaso Cerno, ha riservato aneddoti, considerazioni argute e fuori dai canovacci dei soliti ringraziamenti di rito. Le considerazioni sul Vate ricreato con l’intelligenza artificiale, ma politicamente corretto (Non gli fa dire “negro”). Lo stesso Cerno, nel suo sintetico quanto folgorante intervento, ha evocato la bizzarra variante “Hanno messo a d’Annunzio il cervello di Elly Schlein”, scatenando l’ilarità della platea.
Guerri si è congedato con il consiglio dato ai suoi figli: “Siate dritti”. Una raccomandazione dalle mille sfaccettature, dalla rettitudine alla schiena dritta, niente affatto scontata. Come, del resto, non è stato scontato nessun intervento della serata. Antonio Giordano, vicepresidente della Fondazione An ha svelato il suo insospettabile lato artistico, ricordando con emozione i suoi trascorsi nel mondo della musica. Un’emozione ben giustificata, perché ha consegnato uno dei quattro premi (una rappresentazione della Nottola di Minerva simbolo di saggezza e intelligenza) a Giulio Rapetti, in arte Mogol. Il Paroliere ha raccontato come la sua attività di autore di testi per la musica pop sia nata solo per una mera esigenza economica. Una necessità che è diventata una virtù: “Mi emoziono quando vedo che tutti conoscono a memoria le parole delle mie canzoni”. Per poi ricordare, dall’alto delle sue 88 primavere, che “dietro il successo c’è solo una parola: lavoro”.
“Siamo tutti Don Chisciotte”, ha invece ricordato Sandro Giovannini, ricevendo il premio per la Sezione Arte. A consegnarlo De Pedys: “Giovannini è un artista multiforme di sapienza straordinaria, che ha il dono dell’arte in tutte le sue forme, perché è stato poeta, scultore, incisore, che non ha avuto i palcoscenici mondiali” che meritava perché non collocato a sinistra
Sul palco è salito anche il direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci, che era stato premiato l’anno scorso. Con l’occasione ha fatto il punto sui due anni alla guida del tg di punta della Rai, tessendo le lodi della sua redazione. “Si parla tanto male della Rai, di TeleMeloni, ma ho visto una abnegazione da parte di tutti. Sono encomiabili, ho visto anche alcuni di loro piangere e pregare in questi giorni tra la morte di Francesco e l’elezione di Leone XIV”, per poi portare il saluto del padre Francobaldo Chiocci, storica firma del giornalismo italiano, oggi 92enne.
Il Premio M.ARTE anche alle periferie abbandonate
Per la sezione “impegno sociale” il premio M.ARTE è stato assegnato al prete coraggio don Antonio Coluccia. Maurizio Gasparri lo ha paragonato in un certo senso a un Don Camillo dei giorni nostri. “Don Coluccia – ha detto il presidente dei senatori di Forza Italia – mi piace per la forza che esprime e perché fa il prete con la tonaca nelle periferie. A me evoca Don Camillo”. Un prete che “ha contro dei cattivi veri, altro che Peppone”, “spacciatori e criminali. Don Coluccia è una sintesi di forza fisica e forza morale, perché lo fa da prete”.
“Ho visto i morti per terra per il narcotraffico, ma ho visto anche tanta brava gente – ha detto il prete salentino, trapiantato a Roma da anni – a Tor Bella Monaca mi hanno fatto anche un agguato. I clan con me non hanno vita facile, ma io cerco di fare il mio dovere servendo il Vangelo di Gesù Cristo. Ringrazio il premio M.ARTE perché va anche a quei cittadini del territorio che credono nelle calde utopie. E l’impossibile diventa possibile grazie a voi”.
A chiudere la cerimonia, uno spettacolo di danza e musica popolare intitolato “Shara: Emozioni sonore sui ritmi del Mediterraneo”, sotto la direzione artistica di Maria Augusta Pannunzi. Degna conclusione per una premiazione che è stata anche uno show.