
Femminicidio
“Afferrata, percossa e soffocata”: la Procura di Trieste accusa il marito di Liliana Resinovich. Lui è “irreperibile”
La Procura mette nero su bianco: Visintin l’avrebbe colpita e strangolata nel parco. Claudio Sterpin, l’ottantaseienne amante della donna: "Mai creduto al suicidio"
Liliana Resinovich sarebbe stata uccisa il 14 dicembre 2021, lo stesso giorno della sua scomparsa. Quella mattina lasciò il portone del civico 2 di via Verrocchio, a Trieste, per una passeggiata abituale. Non fece più ritorno. La Procura avanza oggi un’ipotesi precisa: l’ex impiegata regionale, 63 anni, fu «aggredita con compressioni, percosse, urti e graffi» e infine soffocata «mediante afferramento e compressione del volto» dal marito Sebastiano Visintin. L’uomo risulta irreperibile da quando ieri, 23 maggio, la Procura ha formulato le accuse nei suoi confronti. Visintin ha lasciato casa sua a Trieste da diverse settimane e si è allontanato dai riflettori delle trasmissioni tv dal giorno in cui è formalmente indagato. In questo periodo però, ha continuato ad aggiornare la sua pagina Facebook quasi ogni giorno e sempre con contenuti riguardanti l’ex moglie. Proprio ieri ha pubblicato l’ultima foto di Resinovich, abbinata al testo «cuore mio».
Caso Resinovich: L’accusa contro il marito
A delineare i dettagli è la richiesta di incidente probatorio firmata dal sostituto procuratore Ilaria Iozzi. L’indagato è uno solo: Sebastiano Visintin, marito della vittima ed ex fotografo, iscritto nel registro degli indagati dallo scorso aprile. La dinamica ricostruita è priva di incertezze: «All’interno del parco dell’ex Opp, in prossimità di via Weiss, all’altezza del civico 21», Visintin avrebbe intercettato la moglie e l’avrebbe colpita in più zone del corpo — «diverse sedi del capo, mano destra, torace, arti» — provocandone la morte per asfissia. Poi avrebbe occultato il cadavere in due sacchi neri dell’immondizia, avvolgendole la testa con sacchetti trasparenti chiusi da un cordino. Il ritrovamento avvenne venti giorni dopo, il 5 gennaio 2022, nel bosco dell’ex ospedale psichiatrico.
La svolta della perizia
Decisiva è stata la super perizia affidata a un gruppo di specialisti: l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, Biagio Eugenio Leone, Stefano Tambuzzi e l’entomologo Stefano Vanin. Un’analisi di 240 pagine che ha escluso l’iniziale ipotesi del suicidio. Il gip Luigi Dainotti, prendendo atto della consulenza, ha ordinato nuove indagini. Da quel momento, l’inchiesta ha imboccato un’altra direzione: quella dell’omicidio.
Il nodo dell’alibi: il marito in bicicletta
Visintin ha sempre sostenuto un alibi fondato sulle immagini registrate da una GoPro installata sulla sua bicicletta. I filmati lo ritraggono mentre pedala in zone lontane dal presunto luogo del delitto. Ma invece di dissipare i dubbi, quelle riprese hanno aperto nuovi interrogativi. La felpa gialla e i guanti arancioni indossati quel giorno sono stati sottoposti a sequestro. La Procura, ora, sembra determinata ad approfondire ogni dettaglio.
La testimonianza dell’amico di Liliana: “Mai creduto al suicido”
Nel fascicolo trova spazio anche Claudio Sterpin, 86 anni, amico del cuore di Liliana e suo ex allenatore ai tempi delle maratone. È a lui che si rivolge la richiesta di incidente probatorio, per cristallizzarne la testimonianza. Ai giudici racconterà anche dei suoi rapporti con Liliana, della relazione tra lei e Visintin, e del contesto personale che li circondava. L’uomo rigettò sin dall’inizio l’ipotesi del suicidio: «Mai creduto», dichiarò più volte. Oggi, la Procura gli ha dato ragione e la parole «aggressione e omicidio» sono impresse negli atti.