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Il Jobs Act toglie il sonno a Elly: assediata da Landini, pressata da riformisti ed ex renziani

Il Jobs Act toglie il sonno a Elly: assediata da Landini, pressata da riformisti ed ex renziani

Politica - di Alessandra Danieli - 23 Gennaio 2025 - AGGIORNATO 24 Gennaio 2025 alle 09:35

Adesso ci si mette il Jobs Act a mandare in corto circuito il Pd e guastare il sonno a Elly Schlein. In queste ore, naufragato il sogno referendario contro l’autonomia differenziata, della chiamata alle urne contro il “capolavoro renziano” dei tempi d’oro, come da rito, la segretaria dem evita di parlare. E  si affida alla strategia, per ora perdente, del temporeggiamento in attesa degli eventi. Preferisce concentrarsi su temi meno divisivi e spingere l’acceleratore contro il pericoloso abbraccio tra Meloni e Musk, l’antitrumpismo viscerale. Meglio glissare sulle cinque mozioni separate presentate dal ‘campo largo’ in ordine sparso sugli aiuti all’Ucraina. E aspettare ad affrontare il nodo dei quattro quesiti contro il Jobs act che minacciano una resa dei conti nel campo progressista. Ma tacere non significare aver risolto. Per ora si barcamena: “Dobbiamo mettere la coalizione al riparo dai referendum”, dice.

Il Jobs act di Renzi spacca il Pd, Schlein nell’imbuto

Da una parte la cambiale in bianco con Maurizio Landini, con il Pd costretto ad andare al traino della Cgil, dall’altra quasi tutta la minoranza interna che non ha nessuna intenzione di fare le barricate contro il Jobs Act, all’epoca votato da tutti. Non è una novità che l’avventura referendaria non piaccia a una grossa fetta del partito tanto meno ai catto-dem che domenica hanno battezzato ufficialmente la loro corrente. Il punto è che neppure il presidente del partito Stefano Bonaccini è convinto, ancora meno Dario Franceschini, che più di altri si è speso per Elly alle primarie, che bolla la crociata come una scelta velleitaria.

Le minoranze non approvano l’abbraccio con la Cgil

L’ala moderata-riformista del Pd – quella che era stata più vicina a Matteo Renzi – non ha intenzione di rinnegare il lavoro fatto dieci anni fa. “Un referendum sul Jobs act rischia di riaprire ferite del passato. Fin dall’inizio ho dichiarato che non l’avrei sostenuto”, dice Alessandro Alfieri, “abbiamo bisogno, oggi, di mettere in evidenza le tantissime battaglie che ci uniscono, non quelle che ci dividono”. Posizione che è un po’ quella di tutta la minoranza, da Marianna Madia a Graziano Delrio e Lorenzo Guerini. Certo, precisa uno di parlamentari ‘moderati’, “non ci metteremo a fare i comitati del no con Renzi, ma c’è una strumentalizzazione da parte di Landini che non ci fa bene. E certamente non faremo campagna per il sì, ne voteremo per l’abrogazione”.

Serracchiani: non l’ho firmato e non farò campagna

Debora Serracchiani  conferma la sua linea. “Non l’ho firmato e non intendo fare campagna. Sono passati dieci anni, la corte Costituzionale ha smontato quasi integralmente il Jobs Act, quindi non capisco di cosa stiamo parlando. Detto questo, ci sono sensibilità diverse dentro al Pd, se alcuni sosterranno questa iniziativa non dobbiamo farci la guerra ma ragionare sul fatto che ci sono sensibilità diverse”. Fuori dal Nazareno la situazione non è più tranquilla. Schlein si troverà ad abbracciare la crociata della Cgil, insieme a Conte e Avs, contro Italia Viva e Azione che, come annunciato da Elena Boschi, è pronta a partire con i comitati a difesa del Jobs Act.  Per i dem si annuncia una discussione a dir poco difficile. E alla fine la linea potrebbe essere quella del peggiore dei compromessi, la “libertà di coscienza”, plastica fotografia di debolezza e confusione». Con Schlein e i suoi mobilitati per il sì, e i riformisti al mare. Sperando che il quorum non arrivi. E di non farsi troppo male.

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di Alessandra Danieli - 23 Gennaio 2025