Iran, paura per la studentessa seminuda per protesta: sarebbe rinchiusa e torturata in un ospedale psichiatrico (video)

8 Nov 2024 15:25 - di Redazione
studentessa Iran

Le immagini che la riprendono nell’atto di spogliarsi in segno di protesta, e mentre si allontana vestita solo della biancheria intima dall’università in segno di protesta nei confronti delle guardie del campus che le avevano contestato il mancato rispetto del codice di abbigliamento islamico, sono scolpite nella memoria. Ma ora a quell’incubo vissuto in diretta social si associa anche l’orrore di sospetti agghiaccianti…

Iran, si teme per le sorti della studentessa che si è spogliata per protesta all’Università

Masha Amini è stata la prima vittima drammaticamente nota di un sistema punitivo costato la vita a una giovane donna per questioni di velo. Ora, sulle sue stesse orme sembra camminare la studentessa arrestata dalla polizia iraniana. E, sembra, torturata in un ospedale psichiatrico. Sì, perché questa potrebbe essere la “punizione” alla quale sarebbe stata sottoposta la giovane che si è denudata nel campus dell’Islamic Azad University a Teheran. Lo denuncia Amnesty International parlando di situazione «allarmante». Spiegando contestualmente di aver trovato le prove che il regime iraniano utilizza l’elettrochoc. La tortura. Le percosse e i medicinali contro i manifestanti e i detenuti politici che vengono trasferiti in ospedali psichiatrici statali, perché ritenuti «mentalmente instabili».

Si tratterebbe di rapimento: la giovane sarebbe stata internata in una struttura psichiatrica

Non solo. Il Center for Human Rights in Iran (Chri) denuncia che si tratta di un «rapimento», dato che è consuetudine l’uso della forza per trasferire i manifestanti anti-regime in strutture psichiatriche, zittendo così il dissenso. «Le autorità iraniane utilizzano sistematicamente l’ospedalizzazione psichiatrica obbligatoria come strumento per reprimere il dissenso. Etichettando i manifestanti come mentalmente instabili per minarne la credibilità», ha affermato Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Chri. «Trasferire chi partecipa a proteste pacifiche in ospedali psichiatrici rappresenta non solo un atto di detenzione arbitraria, ma costituisce anche una forma di rapimento. Questa pratica è una mossa palesemente illegale per screditare gli attivisti etichettandoli come mentalmente instabili», ha aggiunto Ghaemi.

Iran, si teme per le sorti della studentessa: sarebbe reclusa e torturata in un ospedale psichiatrico

La studentessa iraniana, infatti, è solo l’ultima di una lunga serie di manifestanti arrestati durante le proteste di “Donna, vita, libertà“. Sequestrate e ricoverate in ospedali psichiatrici. Il noto rapper curdo Saman Yasin, ad esempio, è stato trasferito dalle autorità all’ospedale psichiatrico Aminabad di Teheran dopo il suo arresto durante una protesta nel 2022. In ospedale sarebbe stato torturato e costretto a confessare. Poi, dopo aver trascorso due anni in carcere, a ottobre è stato rilasciato per motivi di salute. «Saman è stato legato al letto nel centro psichiatrico in posizione cruciforme per molto tempo. Gli hanno somministrato alte dosi di sedativi e nonostante il suo stato di incoscienza, le restrizioni su mani e piedi non sono state rimosse», ha detto una fonte vicina al rapper al Guardian.

Ma non è la sola vittima, ecco gli attivisti rinchiusi negli ospedali psichiatrici e torturati

Nell’ottobre dello scorso anno Roya Zakeri, una giovane donna iraniana che è stata filmata mentre cantava slogan anti-regime, è stata definita malata di mente dai media statali e portata nel reparto femminile dell’ospedale psichiatrico Razi. Il Guardian ha appreso da persone vicine alla sua famiglia che le sono stati iniettati degli agenti soporiferi, è stata aggredita fisicamente ed è stata incatenata braccia e piedi.

Le accuse, gli interrogatori, le torture

Anche Azam Jangravi, un’attivista per i diritti umani, ha detto di essere stata costretta dalle autorità iraniane a firmare una dichiarazione in cui ammetteva di avere problemi di salute mentale dopo che nel 2018 erano circolate ampiamente delle fotografie che la ritraevano mentre sventolava l’hijab in una strada di Teheran. «Quando mi hanno interrogata, mi hanno accusata di essere una spia», ha detto. «Volevano che scrivessi una confessione in cui dichiaravo di essermi pentita della mia protesta e che l’avevo fatto perché non ero mentalmente sana. Non l’ho firmata».

Iran, «Temo che la studentessa universitaria si trovi in ​​condizioni orribili»…

E ancora. «Continuano a provocarci durante gli interrogatori citando gli esempi di ex prigionieri politici che sono stati mandati in ospedali psichiatrici. Temo che la studentessa universitaria si trovi in ​​condizioni orribili in questo momento e dobbiamo chiedere il suo rilascio», ha detto. Un urlo nel deserto, il suo come quello di moltissime altre vittime internate e di cui poco si sa, che riecheggia in un loop inquietante che rimanda segnali di orrore che cadono nel silenzio internazionale.

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