Il passato chiede il conto agli inglesi e Starmer: “Guardare avanti, non indietro”, altrimenti chi paga?

1 Nov 2024 14:10 - di Alice Carrazza
Starmer

Al vertice dei Capi di Governo del Commonwealth (CHOGM) a Samoa, il tema delle riparazioni per la schiavitù è riemerso come un nodo critico che mina l’unità dell’organizzazione. Mentre Sua Maestà, Carlo III, predica l’unità del «Moderno Commonwealth» e invoca misure per affrontare «le crescenti sfide del nostro tempo», che a suo dire sarebbero «la disinformazione e l’estremismo», le richieste di risarcimento economico da parte delle vecchie colonie si fanno più insistenti, portando al centro del dibattito la controversa questione di chi sarà a pagare.

Riparazioni per la schiavitù: Starmer esclude l’opzione “denaro”

Keir Starmer, primo ministro britannico,ha già chiarito il proprio punto di vista: «Guardare avanti, non indietro». Parole nette, che sembrano allontanare qualsiasi idea di compensazioni economiche per gli eredi della tratta schiavistica. Tuttavia, il dibattito non si placa, alimentato dalle pressioni delle nazioni caraibiche che invocano una “giustizia riparativa” per gli effetti della schiavitù. Ma è giustizia o opportunismo?

Numeri da capogiro

Pare che, per espiare la sua colpa, il vecchio Impero debba alle “vittime” – 14 paesi caraibici – oltre 18 trilioni di sterline, una somma quasi sette volte il Pil del Paese lo scorso anno. Un importo che pare difficile da giustificare, non solo in termini pratici ma anche storici. Il Regno Unito non ha inventato la schiavitù sia chiaro. Al contrario, fu proprio la Gran Bretagna a impegnarsi nell’abolizione del commercio degli schiavi, con la Royal Navy che rischiava vite e risorse per bloccare questa pratica su scala globale.

Dall’abolizione dello schiavismo al risarcimento danni: ma a chi?

Le nazioni caraibiche chiedono ora che le casse britanniche finanzino il risarcimento per danni risalenti a due secoli fa, sostenendo che i discendenti degli schiavi abbiano diritto a una compensazione per le sofferenze dei loro antenati. Tuttavia, la questione si fa intricata: in che modo determinare chi debba essere risarcito e chi debba pagare? Con otto generazioni di antenati alle spalle, molti cittadini britannici discendono tanto da schiavi quanto da proprietari di schiavi. In questo senso, dovrebbero forse risarcire sé stessi? E se si risalisse ancora indietro, quanti di noi scoprirebbero antenati tra i servi della gleba? L’idea di compensare la discendenza di ogni esperienza storica dolorosa si trasforma presto in una strada senza uscita.

Contraddizioni economiche e morali del Commonwealth

Quello delle riparazioni non è l’unico paradosso emerso al vertice. Il Re, nel suo discorso, ha ribadito l’urgenza della questione climatica, puntando all’ambizioso obiettivo di un mondo che mantenga il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi. Tuttavia, la premier di Samoa, ha accennato di sfuggita alla preoccupazione per l’influenza della Cina nella regione, aggiungendo che la sua nazione, e altre della regione, sono desiderose di accedere al lucroso mercato cinese, come riporta lo Spectator. Tutto questo, promuovendo nel suo discorso il loro impegmolte nazioni del Pacifico sono intenzionate a collaborare con la Cina, il principale inquinatore mondiale, e accolgono con favore i suoi investimenti. L’economia cinese, con le sue fabbriche e la sua espansione industriale, rappresenta una delle maggiori fonti di emissioni di CO2. Appare per cui difficile conciliare il supporto a una potenza che contribuisce all’aumento delle emissioni con l’obiettivo di un Commonwealth “verde“.

Un risarcimento insostenibile

Il Commonwealth, che dovrebbe rappresentare un legame tra popoli, rischia di trasformarsi così in una piattaforma di richieste economiche senza fine, dove i risentimenti storici vengono convertiti in pretesti per esigere denaro da nazioni considerate “colpevoli“.  E qui, è lecito chiedersi quanto sia giustificata una redistribuzione di fondi da parte di Londra verso governi caraibici che, per di più, adottano sistemi fiscali basati su agevolazioni e esenzioni.

La vera giustizia è la prospettiva

In questo scenario, la retorica sulle “riparazioni” rischia dunque di generare più tensioni che soluzioni concrete, se non innesca addirittura un’arma politica per alcuni governi che mirano a ottenere sovvenzioni con un pretesto storico. Altro che «famiglia unita» o «comune ricchezza trasformata», come professa il Re, sembrano invece tutti in cerca di denaro o temono di perderlo.

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